Attentati a Cc: anche l’omicidio dell’ispettore Lizzio rientrava nella strategia stragista dei corleonesi

Giovanni Aiello, ex agente di polizia ritenuto vicino ai Servizi Segreti e noto come “faccia da mostro”, è indagato dalla Procura di Reggio Calabria che ha coordinato l’inchiesta sui mandanti degli attentati ai danni dei carabinieri compiuti nel 1994 a Reggio Calabria, svelando la complicità nella strategia terroristico-mafiosa di Cosa nostra e ‘ndrangheta.

Giovanni Aiello, faccia di mostro

Aiello, che è entrato nelle indagini della Dda di Palermo più volte, ultima quella sull’omicidio mai risolto dell’agente Nino Agostino e della moglie Ida Castellucci, è soprannominato “faccia da mostro” per la ferita che gli deturpa il volto.
Nell’inchiesta reggina risponde di induzione a rendere dichiarazioni false all’autorità giudiziaria. Secondo i pm di Reggio Calabria, che hanno individuato nei boss Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone i mandanti degli attentati, Aiello avrebbe costretto l’ex capitano dei carabinieri Saverio Spadaro Tracuzzi a mentire agli inquirenti sui suoi rapporti con lo stesso Aiello e sul suo ruolo nella ‘ndrangheta reggina. Il reato è aggravato dall’avere agevolato la ‘ndrangheta.
L’inchiesta della dda per l’omicidio Agostino, che vede coinvolti oltre ad Aiello e i boss Nino Madonia e Gaetano Scotto, à stata avocata dal pg di Palermo dopo la richiesta di archiviazione presentata dalla procura del capoluogo siciliano. Aiello resta però indagato dai pm di Palermo per associazione mafiosa.
L’inchiesta calabrese, inoltre, mette a fuoco un ulteriore aspetto inquietante. Che viene così descritto dagli stessi giudici reggini:
Idelitti per cui si procede, commessi in questo Distretto, avevano, anche, una specifica caratteristica che consente di cogliere, già sul piano logico, sia la loro perfetta coerenza con quel disegno eversivo, che il peculiare effetto terroristico che dovevano indurre. Tempi, obbiettivi e modalità dei fatti, erano, in tale senso, univoci : i tre attacchi ai CC di Reggio Calabria coprivano un arco temporale al cui interno si collocava – in termini di certezza (cioè come stabilito da sentenze definitive) – quello che poteva essere il più grave fra tutti gli attacchi materialmente eseguiti in quella stagione da cosa nostra.
Ci riferiamo all’attentato allo Stadio Olimpico di Roma, i cui preparativi iniziavano nel Novembre/ Dicembre 1993 e la cui esecuzione si collocava nella terza decade del Gennaio 1994 : solo una fortunata coincidenza (il mancato funzionamento del telecomando ovvero dell’innesco dell’ordigno) impedì che 120 kilogrammi di esplosivo già collocati all’interno di una vettura opportunamente posizionata, cagionassero la morte delle decine di Carabinieri che prestavano servizio di ordine pubblico, in via dei Gladiatori, nei pressi dello Stadio Olimpico di Roma.
Deve, infatti, essere sottolineato che gli agguati in danno dei Carabineri di cui ci si occupa, al pari dell’attentato fallito allo Stadio Olimpico – e qui viene in rilievo il mutamento di pelle che in quesgli anni ebbe il crimine organizzato – non erano mirati a colpire degli specifici appartenenti alle Forze dell’Ordine che si erano distinti per lo svolgimento di una qualche indagine che aveva “dato fastidio” alla ‘Ndrangheta, movente, questo, che, seppure gravissimo, non solo si sarebbe posto in continuità con analoghi delitti comessi dalla criminalità organizzata di tipo mafioso da epoca risalente (ex multis, e come caso emblematico, si pensi, in Sicilia, all’omicidio 4.5.1980 del comandante della Compagnia CC di Monreale, Capitano Emanule Basile, ucciso per le sue indagini sui corleonesi ) ma, pur nella sua efferatezza e vigliaccheria, in qualche modo avrebbe ricondotto l’agguato in un ambito ben preciso, quello della lunga e nota guerra del crimine organizzato contro i funzionari dello Stato più esposti nell’azione di contrasto. Qui, invece, l’azione criminale era del tutto diversa, veniva in considerazione un attacco alla Istituzione in quanto tale
: sia l’opinione pubblica, sia la classe dirigente del paese, sia gli appartenenti all’Arma, dovevano intendere che il solo fatto di indossare una divisa rappresentava un rischio che trasformava il militare in un bersaglio.
Ed è qui, proprio qui, attraversando questa linea di confine, che si passa dalla logica criminale a quella terroristica.
E venendo ad un episodio più risalente nel tempo, in questa logica terroristica, come sarà poi analizzato, a dimostrazione dell’ampiezza del disegno criminale di cui ci si occupa, si poneva, anche, l’omicidio dell’Ispettore di PS Giovanni Lizzio in servizio presso la Questura di Catania. Tale delitto avvenne il 27.7.1992, esattamente 35 anni fa, a Catania per mano di sicari della famiglia Santapaola che così, all’epoca, intesero aderire alla richiesta dei Corleonesi di attacco frontale allo Stato. Su questa vicenda come vedremo vi è una piena armonia fra le sentenze emesse dalla A.G. catanese e la ricostruzione dei fatti che emerge in questa sede;
Dunque, il meccanismo terroristico in cui si calavano i tre attacchi reggini ai CC (meccanismo accuratamente concertato e preparato dagli stragisti siciliani e calabresi) doveva determinare, sulla falsariga di quanto nel recente passato della storia italiana era già avvenuto, un incalzare di eventi omogenei e consecutivi. Una escalation, di cui erano parte anche gli episodi in contestazione, che doveva dare il senso dell’inarrestabilità dell’aggressione verso uno stesso obbiettivo. In questo caso, i Carabinieri. Ciò al fine immediato : a) di accrescere nel paese una generalizzata e crescente spirale di paura e tensione emotiva ( determinata dalla constatazione che neppure chi aveva il compito istituzionale di difendere gli altri riuscisse a difendere se stesso) ; b) di determinare cedimenti nelle stesse forze dell’ordine che dovevano contrastare l’attacco.

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