Gerlandino Messina resta al 41 bis, rigettato il ricorso: “Può ancora impartire ordini”

Gerlandino Messina resta al 41 bis.

Lo hanno deciso i giudici del Tribunale di sorveglianza di Roma che hanno rigettato il ricorso presentato dal difensore di fiducia, avv. Salvatore Pennica, dell’ex latitante di Porto Empedocle.

Messina, attualmente detenuto nel carcere di massima sicurezza di Tolmezzo, venne arrestato il 23 ottobre del 2010, dopo un periodo di latitanza di 12 anni, e condannato all’ergastolo per omicidio e associazione mafiosa nel maxi-processo denominato “Akragas”.

Nel rigettare il ricorso i giudici hanno, tra le altre cose, scritto:

“Rispetto alla situazione allora esaminata. ritiene  il Tribunale  che permanga  ad oggi il pencolo concreto di contatti con la criminalità organizzata e che si riveli conseguentemente inidoneo il regime detentivo ordinario.

Invero, l’applicazione del regime differenziato nei confronti  di Gerlandino Messina si fonda su un’esaustiva istruttoria avente come punto di riferimento, oltre che le sentenze di condanna intervenute a carico del reclamante, le informazioni trasmesse dalla Dna, dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo; dal Ministero dell’Interno e dal Comando Generale dell’Anna dei Carabinieri.

Il Collegio ritiene che il decreto di  applicazione impugnato sia  stato legittimamente emanato, avendo l’autorità amministrativa dato conto adeguatamente dell’attuale pericolosità del Messina e dell’assenza di elementi atti a dimostrare l’interruzione di collegamenti tra lo stesso e la parte di organizzazione esterna al carcere. Il provvedimento, inoltre, pur costituendo una proroga di altro decreto, non appare motivato per relationem rispetto al precedente  o con   motivazione apparente o stereotipa, ma       contiene una congrua motivazione in ordine alla permanenza attuale dei pericoli per l’ordine e la sicurezza che le misure restrittive imposte mirano a prevenire.

Invero,            alla luce del ruolo di assoluto rilievo ricoperto dal reclamante nell’ambito dell’organizzazione criminale, deriva, secondo esperienza           criminologica  e giudiziaria una   mutazione di persistenza di collegamenti con il crimine, per l’indissolubilità del patto associativo criminoso, salva esplicita rottura mediante scelta collaborativa o di dissociazione, e dell’elevata pericolosità del gruppo criminale di appartenenza, tuttora dedito alla commissione di gravi ed allarmanti reati, ritiene il Collegio che le restrizioni trattamentali in esame siano pienamente giustificate e funzionali rispetto alle finalità di salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica

sussistendo ragionevolmente il  pericolo attuale di  una ripresa di contatti da parte del soggetto con esponenti dell’organizzazione di appartenenza e della possibilità che il medesimo attraverso i colloqui possa impartire direttive criminali”.