Quando i boss uccidono i figli: storia di Pietro condannato a morte dal padre perché comunista e anti-mafioso

Una storia d’amore con un maresciallo dei carabinieri. Sarebbe stata questa la colpa della figlia del boss mafioso di Bagheria Pino Scaduto.

Una ‘colpa’ tanto grande da spingere il padre, in carcere, ad ordinare il suo omicidio.

Il boss Pino Scaduto aveva deciso: bisognava uccidere la figlia e l’amante, poiche’ “tutto da lei è partito”, intendendo attribuire alla figlia le responsabilità del suo arresto nell’operazione Perseo (Scaduto è stato poi scarcerato ad aprile scorso).

Il particolare emerge dall’inchiesta che questa mattina ha portato in carcere Scaduto e altre 15 presunti appartenenti alla cosca di Bagheria.

“Questo regalo quando è il momento glielo farò”, scriveva Scaduto in una lettera alla sorella  nel 2009. Ribadito qualche mese dopo: “Glielo faccio ancora molto più bello questo regalo…tempo a tempo che tutto arriva”.

La figlia doveva essere eliminata perchè aveva iniziato una relazione con un carabiniere. Secondo gli inquirenti, Scaduto non riescì però nell’intento perchè il figlio – incaricato dell’omicidio – si rifiutò di eseguirlo per timore di incorrere in una lunga e pesante condanna penale: “No… io non lo faccio – dice in un’intercettazione mentre parla con un suo amico – il padre sei tu e lo fai tu…io non faccio niente…eh…mi devo consumare io?…Consumati tu [?] io ho trent’anni…non mi consumo”.

A questo punto, Scaduto avrebbe incaricato un’altra persona che però si tirò indietro. “Sono loro nella famiglia – dice la persona che avrebbe ricevuto l’incarico nelle intercettazioni – si ammazzano come i cani, a quel ‘picciutteddu’ lo stanno facendo diventare…che se avete qualcosa da dire, sbrigatevela fra di voi nella famiglia…che minchia ci dite ai cristiani? Sua figlia o ha sbagliato o l’ha indovinata non è sempre sua figlia? Che minchia vuole”.

Salvo Palazzolo su www.palermo.repubblica.it compie un viaggio a ritroso e scova altri due gravi episodi, questi: Nel 1983, Il boss dell’Acquasanta Antonino Pipitone fece uccidere la figlia Lia per il sospetto di una relazione extraconiugale, i sicari finsero una rapina. Un anno prima, un altro mafioso vicinissimo a Totò Riina, Giuseppe Lucchese, aveva fatto uccidere la sorella, il marito e l’amante per il sospetto di un triangolo amoroso. Cinque anni dopo, Lucchese uccise la cognata. “Si diceva che erano donne troppo libere”, ha raccontato il pentito Gaspare Mutolo.

Ma la vicenda più orrenda, poco conosciuta dall’opinione pubblica (e primo caso noto di padre-boss che uccide figlio) è quella legata al giovane Pietro Di Bella, 24 anni nel 1969, in piena epoca della contestazione giovanile, residente a San Michele di Ganzaria nel catanese, originario di Canicattì dove il padre, Francesco Di Bella, classe 1914, aveva un ruolo ben marcato di boss di Cosa nostra.

Da adesso vi raccontiamo una brutta storia.

Pietro Di Bella era un fervente comunista e detestava le attività del padre, conclamato mafioso prima a Canicattì e poi a San Michele di Ganzaria dove si era trasferito – era il 1968 –  con tutta la famiglia ed occuparsi di un’enorme distesa di terreni e giardini (siti anche a Caltagirone) appena acquistati.

Di Bella padre confidò all’allora (come adeso) boss Francesco “don Ciccio” La Rocca che il figlio Pietro aveva deciso di svelare i segreti di Cosa nostra, di quella frangia di mafiosi gravitanti nel territorio del Calatino.

Immediata fu la contromisura adottata dai boss catanesi appositamente riuniti per decidere le sorti di Pietro Di Bella: doveva essere ucciso e l’incarico, come raccontò quasi trent’anni fa il pentito etneo Antonino Calderone, venne affidato (decisione unanime e voto favorevole pure di Di Bella) proprio a Ciccio La Rocca.

Pietro Di Bella venne assassinato il 22 gennaio 1969 ed il suo corpo venne fatto sparire. Ciccio La Rocca di quella vicenda giudiziaria  – se il ricordo è ancora buono – uscì indenne.

Ben diversa la sorte dell’intera famiglia Di Bella: Francesco Di Bella, venne fatto saltare in aria il 23 marzo 1978. La sua Giulia 1300 parcheggiata davanti il Banco di Sicilia di Sa Michele, venne imbottita di tritolo.

Poco tempo dopo la morte di Francesco Di Bella anche la figlia Vincenza (sorella di Pietro) fece una tragica fine: si sparò una fucilata al petto.

Non riuscì a sopravvivere al dolore per l’uccisione del fratello e la successiva uccisione del padre.

Lei aveva capito tutto e prima di tutti.