Agrigento: disastro amatriciano o girgentano?

La mostra di Marilina Marchica, Segni e paesaggi

La mostra di Marilina Marchica, Segni e paesaggi

La mostra di Marilina Marchica, Segni e paesaggi

Fai due passi in via Atenea  e ti accorgi che nell’ex farmacia Minacori, il borgo Amatrice è più vicino di quanto puoi immaginare con un supplemento di immagini che ti riportano negli angoli più reconditi e meno battuti del nostro centro storico.

Interstizi, spaccature, lesioni, forre calcificate, grumi materici che puoi toccare con un brivido (e che per il lettore abbiamo fotografato appositamente con un obiettivo macro) sono immersi nel biancore accecante  e polveroso del disastro  del crollo, dello sprofondare ineluttabile in un grigio deprimente che sfuma o viene sostituito dal nero,  segnale  del nulla.

In questa temperatura storica, franosa e sismologica che stiamo attraversando, la mostra di Marilina Marchica “Segni e paesaggi” allestita dalla nuova Fam-Gallery, cade a pennello presentata da Cristina Costanzo, Antonio Leto e Dario Orphèe La Mendola che per breve tempo fu il critico terapeuta del Gruppo” Artificio” di cui facevano parte la Marchica,  JanFranz e Giovanni Scifo, impenitenti “rembrandtdiani” e figurativi, mentre Marilina Marchica non demordeva dal suo “non figurativo” e stringendo i denti  è approdata a questa sua mostra-testimonianza che le restituisce  la solita, difficile patente di attualità cui tutti aspirano.

E nel giro di un mese questa è la terza occasione di vedere su tela lo spirito dei tempi agrigentino insieme alla sua fisicità ambientale. Si è vista una  Agrigento tremolante come un ectoplasma nei bellissimi acquerelli  del giovane Di Marco, con la bellezza che sfumava sotto la pennellata, tutti esposti nella Fam-Gallery di Minacori mentre si doveva andare in pellegrinaggio nei locali di fronte al museo Archeologico per fruire di un’altra Agrigento “verso l’astrazione” vista e dipinta da Linda Saporito “con  una serie di figure compresse,- scrivevamo su Grandangolo – stipate e immobilizzate come in una calca immane e comunque dormienti come la dormiente Agrigento, l’immoto Sud che attende il lanciafiamme di Renzi. Un’umanità dolente tra ghigni, smorfie, urla represse  e sorrisi rassegnati”.

Anche nella mostra di Marilina Marchica che lei titola “Segni e paesaggi” si rischia  l’arditezza semantica (come segni sotto l’aspetto delle significazioni), segni impuri per la difficoltà di separare in essi il “significante” del “significato” e che poi costringono i critici di professione e i critici amici a inenarrabili motivazioni e dissezioni intellettuali. Forse sarà meglio per il visitatore, vedere la mostra senza lasciarsi intimidire dall’assurdo biancore che lo aggredisce all’entrata,  ma con spirito “ingenuo” preservando la creatività individuale, con un elogio all’irrazionale e appassionata priorità della “realtà interiore”, alla spontaneità, alla provocante esaltazione dell’assurdo sistematico, alla ricerca dell’identità dentro l’indeterminato, all’atto artistico in quanto affermazione vitale o presenza del mistero. Pollok lo lascerei stare, perché Agrigento e il suo centro storico sono più importanti  e l’odore dei secoli che viene fuori  dalle fratture della Marchica rappresenta una “zaffata” salutare  per tutti.