Agrigento, l’anno orribile (2015) raccontato da Forgione ne “I tragediatori”

“I tragediatori in questo libro sono coloro che hanno utilizzato in modo strumentale la lotta alla mafia, coloro che hanno utilizzato l’antimafia per costruire false icone, falsi miti, avviare carriere e spesso affari, per costruire una posizione nella scala sociale e nella scalata al potere politico. Quindi questo è un libro non contro l’antimafia, il libro è contro la mafia perché la buona antimafia serve a fare una buona lotta alla mafia. Per questo l’abbiamo scritto”.
Francesco Forgione quasi con impeto riferisce al cronista questa definizione del suo libro che reca come sottotitolo “la fine dell’antimafia e il crollo dei suoi miti”.
Libro scritto “in tre mesi e di pancia” – confessa – quasi a liberarsi di un peso diventato insopportabile per un deputato della Repubblica che nella XV legislatura ha rivestito la carica di presidente della Commissione parlamentare antimafia.
Confessa ancora che è un libro che non avrebbe mai voluto scrivere perchè ne ha piene le tasche di quanti “per anni sono stati intoccabili: o con loro o con la mafia. Una trasfigurazione della realtà nella quale si perde il confine tra mafia e antimafia”.
E’ una storia che viene da lontano con risvolti politici e sociali che per la prima volta è raccontata da un protagonista in maniera diretta senza ipocrisie e omertà. Una storia che sta girando l’Italia di questi anni e che ha trovato ad Agrigento l’iniziativa di un “caffè letterario” promosso dal sindaco Lillo Firetto, moderato dal giornalista Gero Tedesco, con la presenza dello stesso Forgione e la sofferta testimonianza di Giovanni Impastato fratello di Peppino .
Firetto ringrazia l’autore per averlo scritto, “una riflessione profonda – dice – da sviluppare anche nelle scuole”.
Il moderatore, Gero Tedesco, annuncia che il libro “chiama in causa con nomi e cognomi” e in realtà i tragediatori, nelle parole di Forgione, vengono fuori in tutta la loro (a)normalità, il clamore, l’assuefazione e l’indifferenza che ha percorso l’anno portato ad esempio, il 2015 con la polemica su “Libera”, e poi su Montante (“vicenda sulla quale non posso pensare che non incida sulla credibilità”).
E nel ricostruire queste vicende l’autore non si esime dall’interrogare se stesso, “i miei silenzi. E perché siamo stati in silenzio?
La risposta è tutta racchiusa nel concepire un “rinnovato movimento antimafia, di etica pubblica, di comportamenti e denunce” senza la paura e l’imbarazzo di venire accusati quando si verificano carcerazioni improprie, l’uso spregiudicato delle intercettazioni o il poco rigore della magistratura nei salotti televisivi o il Massimo Ciancimino che “ha fatto il commentatore politico per due anni”.
Per Forgione risulta agghiacciante la foto di un abbraccio in via D’Amelio tra Salvatore Borsellino e Ciancimino. “Quella foto è la fine di tutto. Ci deve far riflettere sulla percezione tra mafia e antimafia”.
Maniaci, Lo Bello, Montante, Saguto, Ingroia, vicende del dirompente 2015 che Forgione passa in rassegna precisando contraddizioni e incongruenze sui beni confiscati alla mafia (“bisogna venderli, molto attenti alle conseguenze”) e sempre furente contro “la fabbrica dell’immaginario”, contro le icone precostituite e prepagate, separando giudizio penale da quello storico.
“Vanno ricostruiti i confini senza delegare tutto alla magistratura ma smuovendo la politica. Abbiamo strumenti per ripulire le liste e depurare la lotta alla mafia recuperando credibilità”.
E sotto questo aspetto di rigore e netta demarcazione, a Forgione non va a genio neanche Totò Cuffaro “che si mette in giro ed è richiesto” mentre Giovanni Impastato avverte che “bisogna lavorare sul territorio utilizzando positivamente i mezzi di comunicazione”. I
Impastato, ricordando il fratello Peppino e il clima di paura e indifferenza che regna un pò dovunque rivela che “ai funerali di mia madre non c’era nessuno e i visitatori di “Casa-memoria” sono spesso disturbati da gente che parla contro di noi”.
Per la cronaca, “Casa-memoria” degli Impastato ha sempre rifiutato finanziamenti pubblici regionali.
Anche sul clima regionale politico Forgione non riesce ad essere tenero e ne ha per tutti “da Lombardo, a Crocetta, a Lumia, governi non avulsi da un sistema di affari. Il dato certo è che si è assicurata la continuità del potere nonostante vicende che, per esempio hanno travolto la credibilità di Confindustria, da cui non è stato espulso nessuno”.
Una temperie politica che ha consentito a imprenditori falliti di accedere alla presidenza di importanti cariche commerciali. Definendo poco opportuna la frase del giudice Gratteri che in una trasmissione televisiva aveva dichiarato “la mafia non morirà mai”, Francesco Forgione è del parere che “manca la precisa volontà di sconfiggere la mafia che ha ucciso gente che lo Stato non ha saputo difendere e che accanto alla educazione alla legalità dovremmo aggiungere due altre parole democratica e costituzionale”.

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