Le opere di Teresa Lonobile in mostra a Realmonte (ft)

Nella piccola Realmonte c’è una galleria. Per intenderci non di quelle chiuse al traffico per frane e infiltrazioni d’acqua ma apertissima a infiltrazioni e correnti artistiche che provocano, queste si,  frane di pensiero bisunto e  di certezze incartapecorite. L’abbiamo frequentata in diverse occasioni e ha voluto chiamarsi “A Sud Arte Contemporanea”.

L’altra sera ha ospitato una mostra (incredibilmente affollata) di Teresa Lonobile, insieme ad alcune sue sculture che sembrano matriosche ma poi ti accorgi che sono levigati ciottoli incollati fra di loro che vanno poi a comporre testoline femminili dagli occhi dolci e malinconici o con le palpebre semichiuse come obbedienti odalische di harem.

Nel bel catalogo che le è stato approntato, è appunto Linda Saporito che in una sua nota biografica sottolinea l’ispirazione della Lonobile al “metodo del mondo orientale e ne ripete senza sosta alcuni schemi inserendo variazioni infinite che tendono al suo inesauribile desiderio di perfwzione”.

Ed è la stessa Saporito che ci informa come la Lonobile abbia “imparato velocemente frequentando laboratori palermitani tecniche diverse che ha fatto sue integrandole con intuizioni e materiali diversi”.

Delle sue grandi tele, quasi tutte 100×60, il presentatore-critico Dario Orphèe La Mendola, riferisce “di una cifra stilistica ritmicamente proposta…Non una profondità che possa fuorviare bensì un intricato gioco di chiaroscuri al fine di rendere sporgente la figura. L’equilibrio è quasi ossessivo e non lascia scampo a errori asimmetrici”. E di “un moltiplicarsi di volti in un corteo teatrale – scrive il gallerista NelloBasili – dove la messa in scena è tanto efficace da sembrare verisimile anche alla luce delle molteplici variazioni che il loro abbigliamento subisce”.

Ma a nostro parere c’è qualcosa d’altro che ci ha inquietato e convinto. Un “Pinocchio” acrilico 150×100 che irrompe tra quelle “adorabili ciccione” e che certamente non per caso, apre nel catalogo la sequenza delle immagini. Un Pinocchio che emerge da un bidone come un personaggio di Beckett in “Finale di partita” e che ci sembra la più precipua cifra di lettura della Lonobile, tra l’altro esperta costumista teatrale e collaboratrice di registi come Franco Passatore e Gianni Salvo. Un ironismo per niente diversivo come quello beckettiano, fuori dal bolso ritrattismo accademico e saturo di eccitazione figurale (e sensuale erotizzante) nelle altre Annuzza, Rosalia, Nina, Sarah, Catherine, Corinne, tutte in attesa di una carezza che non arriva. Non ce ne voglia l’amico critico Dario Orphèe se diciamo a chiare lettere che dopo Fernando Botero troviamo Teresa Lonobile.

Da cronisti non ci sembra un azzardo affermarlo perché Pinocchio e le “adorabili ciccione”, oltre alla poetica dell’ironia nell’arte, sono un ammonimento sociale, una visionarietà che non rinuncia ai piccoli segni delle magie infantili chagalliane, una celebrazione del “femminino” estrosa e linda.

Il Pinocchio è anch’esso l’oggetto leggibile ma in chiave allusiva che va oltre i limiti delle accezioni consuete (del pover’uomo). L’effettività simbolica delle tele, dipinte a cromi puri e lisci, sono fatte più di spazio che di materia dove “l’oggetto” raffigurato perde consistenza realistica per assumerne una evocativa e lirica adatta visualizzare emblemi di vita interiore.

Così il vero quotidiano è trasfigurato in uno più surreale, approdando alla fine ad una sua difficile ma persuasiva patente di attualità.

Testo e foto di Diego Romeo