Il lavoro nobilita l’uomo ma il voucher lo schiavizza

Mi sono sempre chiesto, fin da bambino, quale fosse la strada giusta per diventare un buon giornalista. E, interrogandomi sempre di più sul come e sul cosa fosse più giusto, sono arrivato ad una conclusione: “Mi ha sempre dato fastidio non conoscere bene le cose.” Da qui, un impegno che con il passare del tempo assume per me valore simbolico: cercare di combinare la vocazione giornalistica con i fatti reali, i cambiamenti, le criticità. Essere un buon osservatore, saper guardare con occhi critici e, laddove ne avessi le possibilità, cercare di avvicinarmi il più possibile ad una logica di verità. E’ proprio seguendo questi strani pensieri, forse da pazzoide, che nasce il mio interesse per questo straordinario campo. Basti, poi, aggiungere le infinite esperienze personali vissute in prima persona o, ancora meglio, scorgere pezzi di vita reale vissute da conoscenti, amici o semplicemente cittadini del mondo ed il gioco è fatto.

In effetti, dopo aver trattato di problematiche inerenti alle politiche della formazione in Italia, ma più nello specifico ad Agrigento, è stato per me quasi una naturale continuazione tornare a parlare di questa problematica. Ed il tutto nasce da un assunto: ad oggi, essersi fermato alla terza media oppure avere una laurea con il massimo dei voti è praticamente la stessa cosa agli occhi di un moderno datore di lavoro.

Sia Salvatore, dottore in Scienze Motorie con diversi attestati che ne confermano la professionalità e l’efficienza degli studi svolti con i sacrifici di un padre, che Federica, giovane ragazza che lavora con impeccabile professionalità come cassiera all’interno dei locali della movida della mia città, valgono per 7,50€ di paga nette l’ora più un euro e trenta di contributi pensionistici all’Inps, settanta centesimi di assicurazione antinfortunistica all’Inail e cinquanta centesimi di gestione del servizio. Fanno dieci euro tondi tondi: il valore, appunto, di un giovane lavoratore oggi.  Il valore di un voucher. Ma cos’è un voucher?

I voucher sono i tagliandi da 10 euro l’ora (7,5 netti per chi li riceve) introdotti nel 2008 per pagare i lavoretti occasionali. Ticket da mini-impieghi che stanno avendo un successo straordinario. In Sicilia l’aumento rispetto al 2014 è stato del 98,7 per cento. Inventati per regolarizzare piccole mansioni da sempre pagate in nero oggi cosa sono diventati i voucher? Semplice, lo stimolo che ci ha portati di fronte all’aumento dei mestieri ultra-precari, di impieghi barattati al ribasso e di lavoratori che, anziché essere messi in regola, vengono pagati con uno strumento che li condanna a morte, senza un futuro se non quell’1,2 € versati all’Inps. Da brivido.

In entrambi i casi, i diritti sono gli stessi: il diritto a NON ammalarsi, a NON curarsi, a NON poter contrarre un mutuo per la casa, diritto a NON poter programmare una vita nel medio-lungo termine, diritto a NON sposarsi e, insomma, il diritto a non avere quei diritti conquistati dopo secoli di lotte di classe, di sacrifici.

Salvatore, dottore in Scienze Motorie, ha condotto una carriera universitaria e di formazione personale sempre al limite della perfezione. Un appagamento personale cresciuto negli anni, una formazione che va ben oltre a quelle del padre che, però, rappresenta ancora oggi unica forma di speranza e sussistenza. E’ proprio questa la contraddizione, proprio questo il mio fastidio: realizzare con l’amaro in bocca che un giovane laureato, preparato, con diversi titoli accumulati non potrà mai realizzarsi dal punto di vista lavorativo e, dunque, anche economico così come è toccato al padre, seppur appartenesse ad una generazione diversa, con diversa preparazione e sicuramente con meno carte in regola.

Dall’altra parte della barricata ci sono loro, i moderni datori di lavoro che, sotto la bandiera spiegata dal vento di crisi, attuano la disfattista quanto incredibilmente devastante teoria del “va bene quello che capita”. E, dunque, via ai tagli degli orari, dei turni e, cosa più fastidiosa, il giovane lavoratore viene semplicemente visto come un “tappabuchi”, un tuttofare da utilizzare laddove ci sia necessità e non una risorsa su cui puntare. E da qui, inevitabilmente, nasce quell’esercito di disoccupati, di nuovi poveri lavoratori che sì manualmente svolgono qualsiasi attività ma che economicamente e in termini di dignità pagano un enorme prezzo. Inoltre, i voucher creano fra i datori di lavoro due categorie: quelli che rispettano la norma e trasformano il rapporto accessorio in contratto non appena l’impiego diventa stabile e quanti continuano a suddividere illegalmente l’impiego stabile in più rapporti accessori. Inutile sottolineare che la fascia d’età che più riguarda questo triste fenomeno va dai 22 ai 27 anni. La mia.