Stragi mafia, Paci: “Messina Denaro cresciuto sulle ginocchia di Riina”

Matteo Messina Denaro, conferenza stampa Caltanissetta

“Fra i nemici storici di Matteo Messina Denaro e Totò Riina, c’erano alcuni magistrati e alcuni giornalisti. In particolare andavano eliminati i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Claudio Martelli, all’epoca ministro della Giustizia e giornalisti come Maurizio Costanzo che sfidò la mafia bruciando in diretta una maglia di Cosa nostra, Pippo Baudo, Barbato, Michele Santoro e Enzo Biagi”.

Lo ha detto il procuratore aggiunto Gabriele Paci, nel corso di una conferenza stampa svoltasi questa mattina alla Procura di Caltanissetta.

“La strategia stragista parte dalla missione romana. Un gruppo di fedelissimi di Riina si trasferisce a Roma, per uccidere Falcone e Martelli. Dalla provincia di Trapani, parte alla volta della capitale, un camion con un doppio fondo, carico di armi ed esplosivo. L’ordine era quello di usare le armi. Dopo dieci giorni, quando il gruppo non riuscì nell’impresa, perchè secondo quanto dichiarato da Brusca, Riina era convinto che il gruppo a Roma si stava solo divertendo, arrivò l’ordine di far ritorno in Sicilia. Falcone andava eliminato in via Notarbartolo oppure  lungo il tratto di autostrada che separa Palermo dall’aeroporto”.

Obiettivo di Cosa nostra, era anche eliminare coloro che si opponevano alla strategia stragista. “Da qui – ha spiegato Paci – il coinvolgimento di Matteo Messina Denaro in alcuni omicidi avvenuti nella sua provincia di appartenenza. Il boss trapanese, già nell’89 era il reggente della provincia di Trapani. Era lui a prendere tutte le decisioni più importanti. La provincia di Trapani, è la terra dove Riina e Bagarella trascorrono i loro anni della latitanza. A Mazara del Vallo fu trovato parte del tesoro di Riina, diversi lingotti in oro. Brusca, fedelissimo di Riina, ha rivelato ai magistrati che Matteo Messina Denaro, fu cresciuto sulle ginocchia del boss di Corleone”.

“Nel ’92 Totò Riina lavorava su due fronti: a Roma e a Palermo. Un commando composto dai fratelli Graviano, da Sinacori e altri componenti delle cosche palermitane e trapanesi era a Roma – ha spiegato Paci – per colpire non solo Giovanni Falcone, ma anche l’allora ministro Claudio Martelli, oltre a personaggi del giornalismo e dello spettacolo come Costanzo, Santoro, Barbato e lo stesso Pippo Baudo, che si erano messi in prima fila contro la mafia. I killer, appostati vicino al Ministero della giustizia non erano riusciti ad avvicinarsi a Falcone o Martelli, ma avevano la possibilità di commettere un attentato con l’esplosivo a danno di Maurizio Costanzo. Una seconda squadra, composta da componenti delle famiglie palermitane di San Lorenzo, Noce e Porta Nuova era incaricata di preparare un attentato a Falcone o in autostrada o in via Notarbartolo dove abitava. Riina bloccò il progetto di attentato a Costanzo perchè non era un bersaglio primario e diede ordine che si lavorasse all’obiettivo più importante: Giovanni Falcone”.

Matteo Messina Denaro avrebbe ricoperto un ruolo centrale nella preparazione delle stragi del ’92. Ne è convinta la Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta che ha chiesto, ottenendola, nei confronti del super latitante una misura di custodia cautelare quale mandante delle stragi.

I magistrati nisseni sono partiti dalla rilettura delle sentenze già emesse e dalle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia, secondo i quali Messina Denaro era l’enfant prodige di Totò Riina. Fu il padre di Matteo ad affidargli il figlio quando ancora era in tenera età. La procura di Caltanissetta, prende spunto dal legame storico fra Riina e i trapanesi. Matteo Messina Denaro, partecipò ad una riunione a Catelvetrano, nel corso della quale Riina decise di dare il via alla stagione stragista. Anche Antonino Giuffrè, rivelò ai magistrati che il super latitante ricoprì un ruolo centrale nelle stragi, in linea con quanto stabilito dal boss corleonese.