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Mafia: Saverio Masi, ostacolato per cattura Provenzano e Messina Denaro

Nel periodo precedente all’arresto del boss mafioso Bernardo Provenzano “fui ostacolato nella ricerca a la cattura di boss latitanti come Provenzano e Matteo Messina Denaro”. E’ la denuncia del maresciallo dei Carabinieri, Saverio Masi, capo scorta del pm Antonino Di Matteo, nel corso della sua deposizione al processo sulla trattativa tra Stato e mafia all’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo. Il sottufficiale dell’Arma, rispondendo alle domande del Procuratore aggiunto di Palermo, Vittorio Teresi, racconta di “problemi avuti con i superiori sulla cattura di Provenzano”. Aveva così chiesto “prima dell’arresto di Provenzano” un incontro con l’allora capitano dei Carabinieri Antonello Angeli “perché avevo saputo che anche lui aveva avuto un trattamento simile”. In particolare, critica gli ex vertici del Nucleo operativo di Palermo, Giammarco Sottili e Francesco Gosciu. “Angeli aveva avuto dei problemi a causa di una indagine che riguardava le vicende investigative di Massimo Ciancimino, soprattutto una vicenda che riguardava una perquisizione a casa di Ciancimino”. Tutto ruota attorno alla perquisizione a casa di Massimo Ciancimino, nel 2005, quando l’allora capitano Angeli avrebbe rinvenuto “in soffitta” il cosiddetto ‘papello’ di Totò Riina contenente le dodici richieste del boss allo Stato. “Quando informò i suoi superiori questi gli ordinarono di ‘non sequestrarlo sostenendo che già lo avevano'”, dice. “C’erano specifiche richieste in relazione a una trattativa tra Stato e mafia – dice ancora Masi – Sottili disse ad Angeli di lasciarlo lì perché già lo avevano. Ma Angeli mi disse che non ce l’avevano il papello. Mi disse anche che rimase esterrefatto dalla risposta di Sottili. Si aspettò la immediata presenza di Sottili. Invece, niente. Così, per salvaguardare la sua persona aveva fatto fotocopiare la documentazione che Sottili non voleva venisse spostata. Mandò uno dei suoi carabinieri di fare le fotocopie di nascosto degli altri suoi colleghi del Reparto operativo”. “Ci siamo incontrati con Angeli di nascosto dai nostri superiori a Palermo, dopo che lui era stato trasferito a Roma – dice – Mi disse che era preoccupato perché volevano avviare una pratica sulla sua salute mentale, e avviarlo a visita psichiatrica, e lui dopo un incontro con Sottili capì che era meglio lasciare perdere e chiese il trasferimento a Roma”. E continua a raccontare: “Io ero stato allontanato dalle attività investigative di un altro latitante, Matteo Messina Denaro – spiega – non fidandomi della mia scala gerarchica mi auguravo che ci fosse un ricambio, mi avevano fatto mobbing senza darmi la possibilità di cercare latitanti”.

I suoi superiori, secondo il suo racconto, gli avrebbero impedito di piazzare telecamere in un casolare (AdnKronos) – Successivamente Masi e Angeli provarono “a fare pubblicare le nostre vicende da un giornale nazionale, in modo che l’autorità giudiziaria ci potesse chiamare per confermare le nostre vicende”. “Cercammo un giornalista che avesse credibilità superiore e con un certa caratura. Concordammo quindi sul nome di Saverio lodato dell’Unità”. Ma non se ne fece niente. “Io dopo continuai a cercare Angeli ma non si fece più trovare”. Il maresciallo Saverio Masi, di recente condannato a sei mesi di reclusione per falso ideologico, racconta poi delle difficoltà che avrebbe incontrato negli appostamenti di un casolare per la ricerca del boss PROVENZANO. I suoi superiori gli avrebbero impedito di piazzare delle telecamere nel casolare che, ad avviso di Masi, avrebbe potuto essere il covo dell’allora latitante PROVENZANO. Alla fine l’operazione non si fece più. Masi viene sentito come indagato di reato connesso perché indagato per calunnia nei confronti di Sottili e altri ufficiali dei carabinieri. Ma all’inizio di settembre la Procura ha chiesto l’archiviazione.