Mafia, oggi si ricorda Lia Pipitone: morta perché “Troppo libera”

Lia Pipitone viene uccisa il 23 settembre 1983, nel corso di una rapina inscenata unicamente come pretesto. Lia entra in una sanitaria per fare una telefonata dal telefono a gettoni. Appena riagganciata la cornetta entrano due malviventi a volto coperto che ordinano al titolare di consegnare l’incasso della giornata. Dopo aver ottenuto il bottino, aspettano che la ragazza si avvicini al bancone: uno di loro le spara alle gambe. Fa per andarsene, poi ci ripensa e urla “Mi ha riconosciuto” prima di far partire altri quattro colpi che uccidono Lia. Alcuni pentiti hanno accusato Antonino Pipitone di aver dato l’ordine di procedere all’eliminazione di quella figlia ribelle, ma il boss dell’Arenella è stato assolto da tutte le accuse.

Un’indagine riaperta solo dopo la pubblicazione del libro ‘Se muoio sopravvivimi’, scritto dal giornalista Salvo Palazzolo con il figlio della donna, Alessio Cordaro, che all’epoca dell’omicidio aveva appena 4 anni. A metà degli anni Duemila era finito in carcere Antonino Pipitone, padre della donna, ma poi fu assolto per mancanza di riscontri alle accuse dei pentiti. L’uomo, nel frattempo, è morto.

 

IL RICORDO. Pietro Grasso “Lia Pipitone e’ una ragazza come tante: giovane, indipendente, con un figlioletto di 4 anni. A parere della sua famiglia mafiosa, Lia sporca l’onore del suo cognome con una relazione extraconiugale. Due sicari simulano una rapina in un negozio di sanitari per ucciderla e “salvare l’onore” dei Pipitone. E’ il 23 settembre 1983, a Palermo: non secoli fa, non a migliaia di chilometri di distanza da noi. Ci stiamo liberando di una cultura retrograda che ha fatto molto male alla nostra societa’. Ogni giorno, da qualche parte nel nostro Paese, la dignita’ e la liberta’ delle donne e’ negata fino alle estreme conseguenze. Abbiamo fatto grandissimi passi in avanti e molti altri dobbiamo compierne, insieme”.

Leoluca Orlando “Ricordiamo oggi quell’orrendo omicidio simbolo della barbarie mafiosa e che pose fine alla vita di una donna coraggiosa, che voleva cambiare vita allontanandosi per sempre dall’ambiente mafioso cui era saldamente legato il padre. Ricordare Rosalia è ricordare tutte le vittime di MAFIA e della sua subcultura, tessere di un mosaico di battaglia e speranza, di rinascita e liberazione.”