Mafia

“Il paracco di Palma di Montechiaro”, 9 condanne definitive 

La Cassazione mette il sigillo finale sul “paracco” di Palma di Montechiaro: “È mafia”

Pubblicato 2 giorni fa

Ricorsi rigettati. La Cassazione mette il sigillo al processo scaturito dall’inchiesta “Oro bianco”, l’operazione che fece luce sul “paracco” di Palma di Montechiaro, e conferma le 9 condanne già disposte in primo e secondo grado. Diventano così definitive le sentenze nei confronti del clan guidato dal boss Rosario Pace (20 anni di reclusione in continuazione con una precedente condanna). Il paracco è riconosciuto come mafia, una famiglia parallela a “Cosa nostra” ma autonoma da essa. Confermate le pene anche per altri otto imputati: Gioacchino Barragato (8 anni); Sarino Lauricella (8 anni); Domenico Manganello (12 anni e 10 mesi); Gioacchino Pace (10 anni e 6 mesi); Giuseppe Blando (6 anni e 10 mesi); Francesco Bonsignore (4 anni e 8 mesi);  Giuseppe Morgana (8 anni); Emanuele Salvatore Pace (8 anni).

Ricorsi rigettati. La Cassazione mette il sigillo al processo scaturito dall’inchiesta “Oro bianco”, l’operazione che fece luce sul “paracco” di Palma di Montechiaro, e conferma le 9 condanne già disposte in primo e secondo grado. Diventano così definitive le sentenze nei confronti del clan guidato dal boss Rosario Pace (20 anni di reclusione in continuazione con una precedente condanna). Il paracco è riconosciuto come mafia, una famiglia parallela a “Cosa nostra” ma autonoma da essa. Confermate le pene anche per altri otto imputati: Gioacchino Barragato (8 anni); Sarino Lauricella (8 anni); Domenico Manganello (12 anni e 10 mesi); Gioacchino Pace (10 anni e 6 mesi); Giuseppe Blando (6 anni e 10 mesi); Francesco Bonsignore (4 anni e 8 mesi);  Giuseppe Morgana (8 anni); Emanuele Salvatore Pace (8 anni). L’inchiesta, coordinata dai magistrati della Dda di Palermo Claudio Camilleri, Pierangelo Padova e Gianluca De Leo, si concentra sul paracco di Palma di Montechiaro che sarebbe stato in grado di gestire un fiorente traffico di stupefacenti, di infiltrare un capodecina all’interno del consiglio comunale e di aver tentato di mettere le mani sull’appalto del contratto di quartiere dal valore di due milioni di euro. L’indagine muove i primi passi nel palermitano ma ben presto si sviluppano i collegamenti con la provincia di Agrigento.

Collegamenti che sono stati tracciati anche dal collaboratore di giustizia Giuseppe Quaranta. Dalla figura di Salvatore Troia, uomo d’onore di Villabate, si è giunti a Favara dove era in contatto con Giuseppe Blando. Blando è il fratello del più noto Domenico, favoreggiatore della latitanza di Giovanni Brusca a Cannatello. L’accusa – a vario titolo – è di essersi avvalsi della forza di intimidazione del vincolo associativo e delle condizioni di assoggettamento ed omertà che ne derivano per commettere gravi delitti, acquisire la gestione o il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici e procurare voti eleggendo propri rappresentanti in occasione delle consultazioni elettorali. Nel collegio difensivo – tra gli altri – gli avvocato Giovanni Castronovo, Vito Cangemi, Santo Lucia, Francesco Scopelliti, Antonino Gaziano, Salvatore Pennica, Giuseppe Vinciguerra, Maria Alba Nicotra, Giovanni Rizzuti, Domenico Ingrao e Rosalia Palumbo Piccionello.

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