La nuova mafia agrigentina riparte dalla dura sentenza “Nuova cupola”

Ci sono troppi vuoti di potere e molte famiglie ancora senza un capo riconosciuto


La sentenza d’appello del processo “Nuova cupola” ha riservato mazzate per gli imputati, tredici in questo troncone che, a parte qualche eccezione, si sono visti inasprire le pene rispetto alla sentenza di primo grado. 

Questo il destino processuale deciso dai giudici della Corte d’appello, sezione IV, di Palermo: Francesco Ribisi, è stato condannato a 15 anni e 4 mesi di reclusione; Giovanni Tarallo che ha avuto 15 anni; Fabrizio Messina, boss di Porto Empedocle, sei anni; Natale Bianchi, nove anni 10 mesi e 20 giorni; Pietro Capraro, ha avuto 9 anni, due mesi e 20 giorni; Luca Cosentino, 10 anni e otto mesi; Otto anni per Antonino Gagliano, classe 1972; Giuseppe Infantino, 11 anni e otto mesi.

Francesco Ribisi - Giovanni Tarallo
Leo Sutera e Fabrizio Messina

Riduzione di pena per Dario Giardina che ha avuto 5 anni e riduzione di multa per un imputato minore Lucio Francesco Vazzano, ottantanovenne di Ventimiglia di Sicilia. Confermata la sentenza di primo grado per Leo Sutera, (tre anni) e conferma assoluzione per Maurizio Rizzo, 43 anni, di Grotte e Gaspare Carapezza, 39 anni, di Porto Empedocle accusati di estorsione.

La notizie, nuda e cruda è questa: i nuovi organigrammi della mafia agrigentina sono stati veramente decapitati dai giudici della sezione quarta della Corte d’appello di Palermo con una sentenza che di fatto cancella il sogno di Leo Sutera coltivato per lungo tempo dopo la cattura dei boss Giuseppe Falsone e Gerlandino Messina.

Gerlandino Messina e Giuseppe Falsone

Niente ottavo mandamento, niente rinnovo dei vertici delle famiglie di Agrigento, Santa Elisabetta, Porto Empedocle, Palma di Montechiaro, Favara, Casteltermini e della zona della Valle del Belice.

Soprattutto niente controllo del territorio, degli affari illeciti, e della latitanza del capo dei capi, Matteo Messina Denaro.

Paradossalmente la sentenza rafforza le famiglie di Canicattì e Campobello di Licata uscite indenni dalle recenti retate antimafia ed anche quella di Favara, seppur parzialmente, che riesce sempre a galleggiare nel mare magnum di Cosa nostra agrigentina con le sue famiglie e famigliedde che hanno in qualche modo condizionato la vita mafiosa della Provincia.

La sentenza mette una pietra quasi tombale alle ambizioni del vecchio boss e dei suoi agguerriti “picciotti” emergenti. La batosta colpisce a morte Francesco Ribisi e Giovanni Tarallo indicati come i suoi luogotenente e che – leggendo gli atti del processo – avevano già mostrato come spregiudicati ed ambiziosi.

Non bisognerà ricominciare da capo nella lettura della situazione mafiosa ma certamente bisognerà ragionare diversamente. Troppe caselle sono rimaste scoperte nell’organigramma mafioso agrigentino, liberate prima dalle operazioni Icaro 1 e 2, “Triokola”, “Opuntia” e “Vultur”.

Cosa rimane sulla piazza? Di materiale per investigare ce n’è parecchio. E di intuizioni, gli investigatori agrigentini ne hanno avute già molte.

Lo ribadiamo: non si riparte dall’inizio ma bisogna fare in fretta a capire quali movimenti sono in atto per colmare questi vuoti di potere.