Mafia agrigentina, c’è un nuovo pentito: parla il boss di Menfi Vito Bucceri

Vito Bucceri, bracciante agricolo quarantaquattrenne di Menfi (Ag), ha iniziato a collaborare con la giustizia. Bucceri – secondo quanto riporta oggi il Giornale di Sicilia – avrebbe gia’ ammesso di far parte di Cosa Nostra ed ha riempito centinaia di pagine di verbali.

Oltre 200 pagine fanno parte dei sei verbali che la Dda ha depositato nell’ambito del processo denominato “Icaro”, con 34 richieste di rinvio a giudizio, la cui udienza preliminare è attualmente in corso.

“Io venni messo a capo della famiglia mafiosa di Menfi dal professore Leo Sutera”, ha messo a verbale Bucceri che ha anche gia’ raccontato di come avvenivano le intimidazioni alle imprese

Recentemente Bucceri era stato coinvolto nell’operazione antimafia denominata “Opuntia”.

Le indagini dell’inchiesta, coordinate dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Maurizio Scalia e dai sostituto Alessia Sinatra e Claudio Camilleri, avviate nel maggio del 2014 avevano portato all’emissione del provvedimento nei confronti dunque delle 44enne boss di Menfi Bucceri, detto “Buccittuni”, il medico di base Scirica, Tommaso Gulotta, 51 anni, Matteo Mistretta, 30 anni, Vito Riggio, 47 anni, Giuseppe Alesi, 46 anni, Cosimo Alesi, 51 anni, tutti di Menfi, e Domenico Friscia, 53 anni, di Sciacca.

L’operazione ha disvelato gli affari del mandamento del Belice ed, in particolare, della cosca di Menfi, e i contatti intrattenuti dai suoi principali esponenti con Leo Sutera ritenuto nel periodo 2010-2012 il capo della provincia di Agrigento, e con Pietro Campo, esponente di vertice di Santa Margherita Belice.

Secondo le risultanze dell’accusa che portò agli arresti, le riunioni e gli incontri avevano luogo all’interno di auto, appartamenti di proprieta’ degli affiliati e in casolari di campagna; erano caratterizzati da rigidi protocolli di sicurezza tesi ad eludere eventuali attivita’ di controllo investigativo.

In tale ambito, Bucceri, che viene ritenuto dagli inquirenti al vertice della famiglia di Menfi, si avvaleva di un collaudato e fedele numero di collaboratori in grado di costruirgli attorno un circuito relazionale che tentava di blindarlo.