Mafia, ecco la la lettera del killer di Livatino: “Mi chiamo Domenico Pace, sono palmese….”

In un servizio mandato in onda dalla Rai si fa riferimento alla lettera di Domenico Pace, 48 anni, di Palma di Montechiaro, condannato all’ergastolo per l’omicidio, nel 1990, del giudice Rosario Livatino.

Queste le parole di Pace rivolte a Papa Francesco:

“Mi chiamo Domenico Pace, sono nato a Palma di Montechiaro il 27 dicembre del 1966, e mi trovo attualmente recluso nel supercarcere di Sulmona con una condanna all’ergastolo a vita per l’omicidio del giudice Rosario Livatino, avevo 23 anni quando mi hanno arrestato e trascinavo una vita mediocre e banale. La mia vita da pastore era fatta di solitudine e pochi sentimenti con la natura  farmi compagnia ma con pochi contatti umani. Questo ero io un ragazzo vuoto senza vere motivazioni. Sono qui a scrivere questa lettera perchè credo che sia giunto il momento di dirvi con sincerità chi ero e chi penso di essere oggi. Quando erano in vita i genitori del giudice ho pensato tante volte di chiedere loro il perdono, ma non sono riuscito a farlo. Chi come me è destinato al carcere a vita, e dunque alla morte in vita, cerca pace e io in questi anni l’ho sempre cercata. Ogni giorno pensavo al passato e sentivo una confusione di sentimenti e pensieri ai quali non riiuscivo a dare un né un ordine nè un significato. Mi sono odiato. E’ stato insopportabile ma non ho evitato di confrontarmi con me stesso. Mi sono guardato dentro con la lente di ingrandimento per cercare tutti i chiaroscuri del mio animo. Ho provato dolore, tanto dolore. Ma a un certo punto, inaspettatamente, ho provato un poco di serenità. E’ accaduto quando il bene e il male che prima dentro di me si mischiavano, pian piano si sono distinti e chiariti per quello che sono e la coscienza è diventata di molte sfumatore di colori diversi. Nei primi tempi erano assai oscuri e man mano si sono schiariti e precisati. Mi sono cosi liberato dal peso piu grande delle mie colpe e mi sono sentito in pace. Ecco perchè ora sono qui a chiedere il vostro perdono. Lo faccio inginocchiandomi davanti a voi, strisciando ai vostri piedi. Se lo farete vi guarderò con gli occhi pieni di gratitudine perchè mi avrete liberato dal resto del peso. Faccio mie, esortandovi, le parole di Gesù ‘perdona il fratello che ha sbagliato settanta volte sette, cioè sempre’. E quelle di Benedetto XVI ‘perdonare è un dono di Dio e non è ignorare ma trasformare’. La fede mi aiuta a sperare che il giudice Rosario Livatino mi abbia perdonato. Che sia presto beato. Non so se posso osare di dire che offro la mia testimonianza nel processo di beatificazione. Credetemi lo sento vicino, ogni istante è come me e mi aiuta a vivere con forza d’animo la pena infinita che sto scontando”.