Nuova relazione Dia: “Cosa nostra agrigentina condivide interessi con clan palermitani”

Un’organizzazione criminale ‘inabissata’, sempre verticistica ma di fatto ormai ‘multipolare’, in cui “si registra un acutizzarsi dell’insofferenza verso il potere esercitato dalla frangia corleonese, in passato garanzia di massima coesione verticistica e la cui autorità, sebbene spesso criticata, finora non era mai stata messa apertamente in discussione”. 

Dia Agrigento, insegna

Questa la ‘fotografia’ della mafia come emerge dalla relazione semestrale della Dia, Direzione investigativa antimafia. 

Il fenomeno dell’inabissamento, “ancora in atto, non è da intendersi come depotenziamento, quanto piuttosto una, seppur forzata, scelta strategica di sopravvivenza finalizzata a sottrarsi alla pressione dello Stato, gestendo in maniera silente – ma adeguandosi costantemente ai mutamenti sociali – gli affari ”interni” ed ”esterni”. 

In questa ottica – rileva la Dia – l’organizzazione si sarebbe specializzata nel controllo e nella fornitura di beni e servizi di varia natura, adottando una ”strategia di mercato” selettiva, tendenzialmente mirata a soddisfare le puntuali esigenze del mercato criminale, in cui il rapporto con la controparte risulta spesso basato su un reciproco vantaggio”. “A questa strategia ”evoluta”, si affianca una più tradizionale modalità d’azione, basata sostanzialmente sulla capacità di esercitare una forte influenza sul territorio in cui viene a radicarsi. Cosa nostra -evidenzia la relazione del Ministro dell’interno al Parlamento sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione investigativa antimafia – riesce, così, non solo a condizionare gli apparati politico-amministrativi locali, ma potendo disporre di consistenti capitali ”a basso costo”, altera inevitabilmente il sistema economico-finanziario”.

Scendendo in un’analisi di dettaglio delle singole realtà territoriali della Sicilia, “nel versante occidentale l’area palermitana rappresenta l’epicentro di fenomeni malavitosi di tipo mafioso: un vero e proprio hub criminale, dal quale s’irradiano le principali attività illecite, protese verso l’acquisizione di denaro e il condizionamento del tessuto socio-imprenditoriale, in un vasto comprensorio interprovinciale”. “Continuamente condizionata dalle alterne vicende criminali e giudiziarie di reggenti e uomini d’onore”, Cosa nostra palermitana “mostra crescenti segni di insofferenza verso la leadership corleonese, ristretta in carcere. Le più recenti evidenze investigative – si legge nella relazione della Dia, relativa al primo semestre 2016 – hanno fatto registrare, in tal senso, un incremento delle tensioni connesse alla pressante esigenza di risolvere le questioni del rinnovamento degli organi decisionali”.

Da riscontri d’indagine e da nuove collaborazioni, è infatti emersa “la fotografia di un’organizzazione con una propensione ancora verticistica, ma nei fatti multipolare, che si avvale di molteplici centri di comando ed opera in uno scenario eterogeneo, in cui si rilevano sconfinamenti, indebite ingerenze, candidature autoreferenziali e, ancor più, la tendenza di famiglie e mandamenti ad esprimere una maggiore autonomia”. Le cosche delle province di Agrigento e Trapani, in via generale, “mantengono peculiarità omogenee rispetto a quelle del capoluogo di regione, con le quali condividono struttura, interessi, strategie e criticità. È da rilevare, peraltro, che le consorterie trapanesi sembrano aver aumentato la propria influenza nel palermitano e, in genere, nella complessiva governance dell’organizzazione criminale”.