Pentito Di Carlo: “Ecco come fu uccisa Lia Pipitone figlia di boss: ammazzata per relazione extra coniugale”

Nuove rivelazioni sull’omcidio di Lia Pipitone, la giovane mamma palermitana uccisa il 23 settembre 1983 durante la messinscena di una rapina nel quartiere Arenella.

A parlare dell’omicidio della giovane donna, figlia del boss Antonino Pipitone, uccisa ad appena 24 ani, è stato due giorni fa il collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo, che è stato interrogato dai magistrati della Dda di Palermo che indagano sul fatto di sangue. I verbali di Di Carlo sono stati depositati questa mattina, in concomitanza con l’udienza preliminare che si terrà al Palazzo di giustizia di Palermo. Gli imputati sono due, i boss Nino Madonia e Vincenzo Galatolo. Un’indagine riaperta solo dopo la pubblicazione del libro ‘Se muoio sopravvivimi’, scritto dal giornalista Salvo Palazzolo con il figlio della donna, Alessio Cordaro, che all’epoca dell’omicidio aveva appena 4 anni. A metà degli anni Duemila era finito in carcere Antonino Pipitone, padre della donna, ma poi fu assolto per mancanza di riscontri alle accuse dei pentiti. L’uomo, nel frattempo, è morto.

Ora, dopo il libro di Palazzolo, la nuova indagine che vede alla sbarra i due boss dell’Acquasanta. Di Carlo, interrogato dal pm Francesco Del Bene, ha ripercorso la sua conoscenza con Antonino Pipitone, di cui era socio. “Nei primi anni Settanta – racconta il pentito – abbiamo costituito una società denominata Trasporti Espressi Sicilia spa. Nino Pipitone proveniva da una famiglia tradizionale di Cosa nostra, in quanto il padre Domenico e gli zii erano esponenti dell’organizzazione mafiosa”.

Dopo il matrimonio Lia Pipitone, figlia del boss, aveva cominciato a lavorare “presso una cooperativa dei Salvo dove ha conosciuto diversi giovani con i quali si frequentava, generando le dure critiche del padre che aveva una mentalità molto all’antica per l’epoca”. “Tengo a precisare che Rosalia, con la quale ho avuto un rapporto di affetto, era nata per la libertà ed è morta per la libertà”, ha aggiunto il collaboratore di giustizia. E ricorda che dopo la sua uccisione aveva appreso dal fratello, Andrea Di Carlo “all’epoca responsabile della famiglia mafiosa di Altofonte” che la donna non era stata vittima di una rapina finita nel sangue, ma sarebbe stata punita dal padre perché “non voleva cessare una relazione extraconiugale”. “Mio fratello mi ha riferito – ha detto Di Carlo – che Pipitone, in quanto capo mandamento, non voleva essere criticato per questa situazione incresciosa”.

Secondo la regola di Cosa nostra – ha raccontato il pentito – Nino Madonia ha convocato Nino Pipitone al quale ha comunicato la decisione di risolvere il problema eliminando la figlia, circostanza a cui il padre non si è sottratto nel rispetto della mentalità di Cosa nostra che condivideva in pieno”.

Come riferisce il collaboratore, Madonia “ha convocato Vincenzo Galatolo al quale ha affidato l’esecuzione materiale dell’omicidio. Il delitto è stato consumato mediante la messa in scena, in quanto era evidente che i rapinatori non avevano alcun interesse a uccidere una persona che stava parlando al telefono da una cabina”.

Un altro collaboratore, Angelo Fontana, di recente aveva parlato pure dell’omicidio della ragazza. “Uccidere era come andare a comprare il pane per noi mafiosi”, ha detto interrogato dei magistrati. Qualcuno ha puntato il dito anche contro il marito della donna: “Andò da suo suocero Nino Pipitone a dire che sua figlia gli aveva fatto le corna e lui voleva soddisfazione”, come ha spiegato la collaboratrice Giovanna Galatolo, figlia del boss dell’Acquasanta, Vincenzo Galatolo, al quale Pipitone avrebbe chiesto una sorta di permesso prima di agire e che avrebbe commesso il delitto insieme al nipote Angelo Galatolo.

“Questo è stato un omicidio eclatante”, ha detto ancora il pentito Angelo Fontana, “dentro Cosa nostra se ne parlava, innanzitutto perché Pipitone doveva salvare l’onore della famiglia. La figlia è stata uccisa perché disonorava il padre. Insomma, prima, dopo, durante…di questo fatto se ne parlava sempre”.

E ora si aggiungono le parole del collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo, che racconta la vicenda confermando quanto già detto da altri collaboratori. Oggi l’udienza preliminare, per tentare di fare luce su questo omicidio di mafia. Anche se, dopo 33 anni, ancora Lia Pipitone non è stata riconosciuta vittima di Cosa nostra.

Ulteriore precisazione sulla messa in scena: “Che tale decisione provenga da Cosa nostra – ha messo a verbale Francesco Di Carlo – è confermata dalla circostanza che nessun intervento è stato realizzato per individuare i rapinatori che avevano ucciso la figlia di un importante esponente di Cosa nostra”.