Agrigento: “Il piacere dell’onestà” nella stanza della tortura pirandelliana

Al calar della tela il pubblico applaude.

Applausi fragorosi come non accadeva da tempo e sono gli stessi interpreti del “Piacere dell’onestà” ad essere quasi sorpresi. Lo dimostrano certi primi piani che abbiamo scattato con un Gleyeses  commosso fino alle lacrime, Vanessa Gravina congiunge le mani e alza gli occhi al cielo. Esplodono urletti da stadio e si comprende benissimo che stavolta i piaceri della “stanza della tortura” hanno provocato qualche buon  orgasmo. Si spera non fittizio e più esplicativo di quell’essere e apparire, di vita e forma che già, ad apertura del cartellone teatrale di quest’anno, “Uno nessuno centomila” aveva ben sollecitato  allenando “le menti e i cuori” della strettissima élite che ormai frequenta i teatri e non solo il nostro “Pirandello”.

“Il piacere dell’onestà” non spesso è stato messo in scena e stavolta probabilmente ha trovato una “congiunzione” registica e attoriale davvero fortunata con Liliana Cavani, esperta di abissi dell’anima e di clamorose umiltà francescane che, insieme all’attore prediletto da Eduardo De Filippo, Geppy Gleyeses, ha messo in scena l’onestà pirandelliana che prima di essere vista dovrebbe essere letta, per meglio goderla, e poi possibilmente praticarla. Perché come si è visto e sentito ogni battuta di Baldovino richiederebbe un “Concilio pirandelliano secondo” per questo misterioso “meta-uomo” che accenna alle “tante cose tristi, notturne dell’altra mia vita” che finisce ridotto a “una maschera grottesca che si trasforma poi in un volto rigato dalle lacrime”.

Basti ricordare l’entrata in scena di Baldovino, a nostro parere la più “imponente” entrata in scena per un personaggio che in quell’incedere e con quei convenevoli, si definisce di per se, una summa del pensiero pirandelliano e che sarà capace di centellinarlo ai suoi “torturati”. Un misterioso cavaliere di valli solitarie che vuole sposare Agata Renni resa madre da un marchesino ammogliato che non la può sposare senza sconvolgere ipocriti canoni perbenistici. Un Baldovino che, riferisce Gleyeses nella nota di sala citando Giovanni Macchia, “distrugge senza possibilità di ritorno all’antico, la tragedia in versi, il dramma borghese, la possibilità di una nemesi, di una catarsi, in una parola di un finale”.

Un finale che rimane sospeso” in fieri” che riportiamo per intero: La signora Maddalena entrando scorgerà Baldovino che piange e resterà come basita. Agata. Puoi dire a quei signori che non hanno più nulla da fare qua. Baldovino (subito levandosi). No, aspetta… il danaro! Caverà di tasca un grosso portafoglio. Non lei – io! Cercherà di rattenere il pianto, di ricomporsi; non troverà il fazzoletto. Agata subito gli porgerà il suo. Egli intenderà l’atto che li accomuna, in quel pianto, per la prima volta; bacerà il fazzoletto, .poi se lo porterà agli occhi tendendo a lei una mano. Si riprenderà in un sospiro che lo gonfierà di commossa gioia, e dirà; So bene ora, come debbo dir loro! Tela.

E così, il Baldovino nobile decaduto, baro e giocatore incallito, imporrà le sue “forme” attraverso una coscienza drammatica individuale che è poi la ricerca di una verità umana assoluta, per non dire di assoluta verità etica.

La Cavani regista monitora il tutto con fermo polso politico, e privilegiando l’esigenza di una verifica sociale del fatto teatrale, conduce i suoi attori a intuire la positività eversiva nel teatro dell’agrigentino che scalza formule consacrate del teatro borghese. 

Un allestimento, questo della Cavani, (con Gleyeses, Vanessa Gravina, Leandro Amato, Maximilian Nisi, Tatiana Winteler, Mimmo Mignemi, Brunella De Feudis) definito lo spettacolo più bello e interessante della scena nazionale e per noi agrigentini lo spettacolo più bello e interessante della XXV stagione teatrale del “Pirandello”.