Al “Pirandello” di Agrigento ritorno al futuro con “Pipino il Breve”

Chiudere gli occhi e abbandonarsi alla musica e poi riaprirli allorchè si sente la voce di Tuccio Musumeci per la solita beatifica risata che ci regala la sua “catanesità”. Potrebbe essere questo il manuale d’uso di “Pipino il Breve” un musical di Tony Cucchiara targato 1978 che ha girato il mondo facendo impazzire di nostalgia i “migrati” italiani. Chissà oggi quanto sarebbe applaudito questo Pipino in un’America, patria del musical, che oggi ha invaso il nostro immaginario seppellendo “Camelot” e potenziando le fiction spettacolari che mettono il dito nella piaga della crisi dei valori tradizionali, della politica e della famiglia. Persino il musical “Hamilton” che ha vinto il Pulitzer 2016 scava nella storia politica americana cui fanno pendant “House of cards” e per tornare all’immaginario serie come “Il trono di spade” e “Shannara” dove la tecnica digitale è fin troppo scoperta. “Pipino il Breve” di Tony Cucchiara torna per la seconda volta ad Agrigento e possiamo considerarlo l’omaggio che la città tributa ad un agrigentino la cui musica e sentimento sono entrati nella storia della canzone e del teatro italiano. Ha fatto benissimo Tuccio Musumeci nel ricordarci che lo spettacolo era dedicato a Nelly Fioramonti, la moglie scomparsa di Cucchiara che con lui condivise per anni i trionfi canori. Un musical, quello di Cucchiara, che è diventato palestra per generazioni di attori che vi si sono avvicendati e che oggi diventa un revival come chiave interpretativa del contemporaneo. Un musical per popoli fanciulli che negli anni ha mantenuto intatto il suo fascino e la sua semplicità di fruizione nonostante sia nato in quel terribile 1978 che preparò gli anni 80-90 ritenuti oggi devastanti per la nostra democrazia. E’ il 78 del delitto Moro, dell’appoggio del PCI al governo Andreotti, delle dimissioni del presidente Leone, dell’elezione di Pertini, della morte di Paolo VI , della morte di Papa Luciani dopo 33 giorni di pontificato, della elezione di Wojtyla mentre Cannes premia “L’albero degli zoccoli” di Olmi. Un musical, a nostro parere, che non può passare inutilmente sulla scena del nostro “Teatro Pirandello” non solo perché ci conferma ancora la sua coesione, la polifonia, l’alternanza degli elementi musicali e coreografici con quelli dell’affabulazione ma perché potrebbe diventare quel balzo terapeutico, come il teatro sa fare, per innescare la rigenerazione di elementi del passato su sintonie reali, su un reale rapporto tra ciò che è stato e ciò che è. Certo ne sarà consapevole il sindaco Firetto che anche a Porto Empedocle è stato maestro nel riportare in auge i “musicarelli” che qui ad Agrigento è chiamato a progettare un futuro che indubbiamente gli è stato ricordato recentemente dalle dimissioni del Consigliere Hamel . Un futuro che è più complesso da percepire sul piano delle “rivificazioni”, perché di fatto propone una dinamica diversa. Si tratta del rendere vivo nel presente ciò che ancora non è stato, ovvero il futuro. Il sindaco e il direttore artistico non se la possono cavare con questo musical come fosse richiesta di consenso o commercializzazione Per quanto ci riguarda “Pipino il Breve” di Cucchiara voluto dal sindaco Firetto e dal direttore artistico Sebastiano Lo Monaco, dovrebbe rappresentare come nel film “Ritorno al Futuro” quegli “1.21 Gigawatts di elettricità” per rimandare Martin in dietro nel futuro, Uno scossone, insomma, perchè la cifra “1.21 gigawatts” racchiude un significato simbolico che rimanda al cambio di epoca, rappresentazione dello “stargate” che l’umanità agrigentina dovrà superare.. Non più un rigassificatore sarà la scintilla per sentirci perdutamente moderni ma un musical vecchiotto e ancora arzillo ci farà riflettere ( se ne vogliamo cogliere l’occasione) e ci potrà portare nel post-moderno. Altrimenti continueremo all’infinito nel porci la domanda “che ne facciamo del teatro agrigentino”? Continuerà ad essere un “instrumentum regni”?