Tragedia della Macalube, una madre disperata in cerca di giustizia: chi è il responsabile?

Quadro primo – Lettera di una madre
È di qualche giorno addietro: la mamma dei due bambini morti alle Maccalube due anni fa, ha scritto una straziante lettera alla figlia che faceva il compleanno ricordando quel giorno maledetto. In questa lettera traspare tutta l’amarezza perché, a due anni di distanza, giustizia non è stata fatta.
Davvero assurdo (ci saranno ovviamente decine di cavilli giuridici) che non si sappia ancora di chi è la responsabilità.
Questa Italia non ci piace. Questa Italia dove, dinanzi le catastrofi, si giura interventi rapidi e poi passano anni sia per ricostruire che per arrivare al momento in cui un giudice comincia a dire: “In nome del popolo italiano”.
La madre di Aragona, i suoi figli scomparsi, il povero marito che quella disgraziata giornata era con i figli e si salvò, meritano giustizia; almeno quella!
Quadro secondo – E siamo al Premio Alessio Di Giovanni
L’undici settembre alle ore 18 nella sala del Consiglio comunale di Raffadali ci sarà la cerimonia conclusiva della XIX edizione del premio nazionale “Alessio Di Giovanni”. La manifestazione, organizzata da sempre dall’Accademia teatrale di Sicilia retta da Tonina Rampello, consente ancora una volta di ricordare il grande poeta della Valplatani.
Anche quest’anno svolge un ruolo attivo il Comune di Raffadali tramite l’assessorato alla Cultura, retto con impegno e competenza dal preside Luigi Costanza.
La conduzione della serata sarà del giornalista Raimondo Moncada. E la condizione di Moncada è garanzia di professionalità.
Diversi i riconoscimenti; innanzitutto i concorsi di poesia in lingua italiana, lingua siciliana e i racconti; poi i premi speciali a personalità e a organizzazioni che si sono particolarmente distinti in Sicilia e infine i premi speciali scuola.
Cinque le giurie che hanno intensamente lavorato da giugno a fine luglio. Un lavoro svolto con impegno, scrupolo, competenza.
Quadro terzo – Libero Grassi
Ecco, quando si vuole indicare la Sicilia della dignità, che non abbassa la testa, che rivendica onore e libertà non si può fare a meno di pensare a Libero Grassi. Non era un giudice o un poliziotto che istituzionalmente doveva combattere la malavita organizzata; era un imprenditore, categoria verso la quale chi scrive non ha mai avuto grandi simpatie. Grassi mi fece capire che dovevo evitare giudizi impulsivi. Perché anche la Sicilia aveva e ha imprenditori onesti. E Libero Grassi era uno di quelli. Disse no al pizzo, ma disse no, di fatto, alla prepotenza mafiosa. Fu il primo a farlo e denunziare quel che gli volevano far subire. E si ritrovò solo. Perché pagare il pizzo, per certi imprenditori, non significava evitare fastidi, ma realizzare una posizione di supremazia nella società siciliana, realizzare affari loschi con altri imprenditori corrotti e corruttori.
Grassi rifiutò questa logica. Denunziò, si batté con ogni mezzo lecito e civile. Lo uccisero in piena Palermo il 29 agosto di venticinque anni addietro.
Da allora in tanti hanno detto no al pizzo (Addio pizzo è la conquista più bella di questa nostra terra) e si sono liberati. Altri, non tanto e solo per paura, ma per aver maggior potere, pagano ancora i malavitosi.
Libero Grassi resta, per me, un santo laico. Un siciliano d’onore, un vero siciliano che non si piega ai piglianculo e i quaquaraquà.