Sbarca finalmente ad Agrigento Aristotele Cuffaro ed è subito terremoto di risate con la sua commedia “U Serafinu addummisciutu” andata in scena al Posta vecchia di Agrigento.
Cuffaro, solerte imprenditore della sua creatività, “impazza” da anni in quel di Grotte – Racalmuto con una associazione intestata a Martoglio e le cui orme teatrali Aristotele vuol calcare, anzi le calca in maniera egregia.
Da lui abbiamo appreso di una tournèe effettuata in Belgio con risultati ovviamente “scompiscianti”, un termine poco utilizzabile in tempi in cui si riesce difficilmente a far ridere.
Ed è quello che è accaduto al Posta vecchia dinanzi al canovaccio cuffariano che dispiega a piene mani quello che i nostri nonni definivano “parlare grasso e ridanciano” e che rientra alla perfezione nell’eredità di Musco e del Martoglio nel cui nome, Aristotele Cuffaro, ha dedicato un premio molto ambito.
Il “Serafino” in questione è il famoso “lui” al quale Moravia dedicò persino un romanzo e che l’anno scorso Vincenzo Salemme definì “il tronchetto della felicità” in una sua commedia al Teatro Pirandello. E nonostante Cesare Zavattini, molti decenni fa abbia sdoganato il suo vero nome (cazzo) a chiare lettere in tv scandalizzando e “liberando” l’Italietta bigotta e pruriginosa, per Aristotele continua ad essere “l’innominato” con ampi ammiccamenti nella sua “scrittura- parlata” dialettale che investe frontalmente costume, indole, ambienti preferiti dei siciliani. E i suoi strali sono tutti racchiusi all’interno di un universo familiare afflitto da supponenze e idolatrie consunte, di caratterizzazioni al limite dove deus ex machina resta sempre il mattatore Cuffaro che non solo si aggiusta le battute ma ne regala a iosa agli altri interpreti che però vengono sempre sovrastati dalla personalità dell’attore-autore-regista.
Ancora pudore (che suscita ilarità) Aristotele Cuffaro riserva all’innominato causa delle sue peripezie persino nella sua nota di regia: ”Il Direttore Gardiddu in piena notte si alza per andare in bagno dopo avere avvertito un fortissimo dolore nell’apparato genitale ma non riesce. Decide di raccontare il fatto alla moglie Tresa che impaurita dalla sospetta impotenza del marito chiede a suo cugino Dottore Crisantemu di visitarlo privatamente per mantenere il problema nel massimo della riservatezza. Dopo diverse vicissitudini, intrecci, doppi sensi Gardiddu decide di farsi ricoverare in ospedale sfidando il pregiudizio popolare di uno sposo inutile perché impotente”. Anche qui si nota una ricerca molto molieriana dei nomi e tutto viene destinato ad alzare il termometro della risata con una moglie Tresa (Isabella Villani) di sofferta umiltà casalinga, di Crisantemu (suo cognato) Gabriele Russello, di Zì Riguardu (vicino di casa) Luca Russello, di Zà Pitrusina (sua moglie) Ilaria Polifemo, del dottore Peppi (cugino di Tresa) Antonio Mercato, di Crucifissu (agente delle pompe funebri) Gaetano Tirone.
E infine Cuffaro, tra tanta casalinghità si gioca da regista la sua carta scenograficamente migliore, la dottoressa Serafina, interpretata da Flavia Iannello.
Tipo d’attrice che in mano ad un regista trash potrebbe diventare la nuova Gloria Guida, nelle mani, chessò, di un Sorrentino potrebbe impersonare il “femminino idealizzato”.
Piaccia o no, tra frizzi e lazzi (d’autore), è nata una stella.
Testo e foto di Diego Romeo