Agrigento: un prototipo di Liolà mette in crisi la “prevalenza del popolo sulla borghesia

Chissà se la presidente Coopculture del Centro Sud, Letizia Casuccio, l’avrà vissuto come un azzardo il dichiarato intento di portare in scena un “Liolà” proposto da una trimurti di direttori artistici: il siracusano Sebastiano Lo Monaco, il bulgaro sefardita Moni Ovadia e l’ennese Mario Incudine.
Illustri direttori artistici rispettivamente ad Agrigento, Caltanissetta ed Enna che hanno dichiarato “Non è il testo originale ma una forma di avvicinamento al testo – spiega Sebastiano Lo Monaco – È uno studio per approdare prima o poi ad uno spettacolo definitivo. A Moni Ovadia è affidato il compito di narratore mentre un domani Incudine stesso interpreterà Liolà. Arte affabulatoria, l’importanza dei figli, le musica e la prevalenza del popolo sulla borghesia sono i temi principali. E’ il popolo che prende coscienza della forza”.
Anche la Casuccio certamente avrà letto quel che scriveva Gramsci su “Liolà” e su Pirandello in generale e potrebbe anche ritenersi soddisfatta (al di là degli ostentati baciamano di Lo Monaco) che l’ha additata dal palco come la “dea ex machina” di questo “giro di holding” portato a termine da Lo Monaco, Ovadia e Incudine, soprattutto per questo inusitato richiamo al “popolo che prende coscienza della forza”.
Detto così, sotto campagna elettorale, parrebbe una molotov lanciata nella palude del sentimento politico-siculo che dovrebbe almeno scuotere quella citata (da Lo Monaco) “prevalenza del popolo sulla borghesia”.
Certo che oggi, in tempi di denatalità, ci vuole coraggio ad inneggiare all’importanza dei figli e ad un Liolà che irrompe con la sua “felicità spermatica”, immemore di stalking e stupri, circondato da donnette che si frantumano ai suoi piedi mentre lui si affida a mammà che gli alleva i figli come una chioccia.
Il testo è recitato, cantato divinamente da Mario Incudine e danzato dalla Casa del musical di Marco Savatteri che, almeno ad Agrigento, si è ritagliato un ruolo in mezzo alla congerie di scuole di danza. Si è molto apprezzato, pare anche dal pubblico che alla fine ha tributato calorosi applausi, le figurazioni coreutiche della prima parte dello spettacolo con quel richiamo ai “mamutones” sardi in un crescendo di ritmo che qualche danzatrice di prima fila ha trasformato piacevolmente in sabba dionisiaco.
Ovadia come è il suo solito naviga a gonfie vele e si sdoppia sulla scena che gli ruba continuamente il futuro Liolà di Mario Incudine che a sua volta recita e canta coi suoi dispiegamenti vocali fino alla fine, allorchè il testo di Pirandello diventa un quasi “legal thriller” con l’attribuzione dei figli legittimi e illegittimi.

Il regista Sebastiano Lo Monaco
L'attrice-madre
Liolà giocoso e spregiudicato
Liolà in mezzo alle sue donne
Liolà
Liolà
Liolà
Liolà
Liolà
Liolà
Liolà
Lo Monaco saluta i suoi attori
Mario Incudine Liolà
Mario Incudine
Moni Ovadia
Un momento della danza

Chissà se ci abbia pensato a creare una colonna sonora per questo finale pirandelliano “kramercontrokramer” con la collaborazione dei suoi musicisti Antonio Vasta, Antonio Putzu, Giorgio Rizzo che qui lo assecondano pienamente. Lo faccia per la felicità della borghesia che come spettatrice era prevalente, l’altra sera, sul popolo, lontanissimo sulla collina di Girgenti, che si era perso questo tentativo di riesumare i torbidi moventi, il ribaltamento del significato dell’opera da dramma dell’odio, dell’interesse, dell’ambizione delusa ad epopea del vitalismo giocondo, alla pagana mediterraneità, fuori dalla millenaria egemonia delle classi alte e delle loro istituzioni sociali e mentali fuori dai multiformi incentivi alla passività e alla rassegnazione. Altro che Isis, ragazzi, un rischio bomba, questo azzardo inscenato dalla trimurti Lo Monaco-Ovadia-Incudine e con la Letizia Casuccio che rischia di apparire come la contessa Ilse dei “Giganti della montagna”.
Resterebbe da chiedersi: resisterà il prototipo Liolà, fino alla futura e compiuta messa in scena?
E il nostro Parco letterario quanto potrà resistere ad una vecchia concezione di teatro come “instrumentum regni”?
A proposito di Pirandello una conferma, a nostro parere, ci viene da Enzo Lauretta che definiva Pirandello “umano e irreligioso” e che i veri personaggi amati dal drammaturgo fossero Liolà, Mattia Pascal e Vitangelo Moscarda., tutti visti in teatro ad Agrigento.
Che poi fosse fascista o meno, non inficia la sua grandezza e la stima che gli dobbiamo.
Maschilisti invece appaiono i tre direttori artistici allorchè nel comunicato con le note di regia non segnalano i nomi delle attrici e delle danzatrici. Almeno Marco Savatteri ne prenda le difese.
Magari per la completezza della nostra fotogallery.
Fotogallery di Diego Romeo