Memorabile la “Filumena” di Mariangela D’Abbraccio in scena al “Teatro Pirandello”.
Una prova di sentimenti interna alla commedia eduardiana che da decenni fa presa sul pubblico di tutto il mondo e che ancor oggi dimostra la sua inconfondibile validità estetica.
Fin dal primo atto dove regnano sovrani l’imbarazzo di lui, don Mimì (Geppy Gleijeses) e l’arringa da pubblico ministero di lei, Filumena (Mariangela D’Abbraccio). Due colonne del teatro italiano che si fronteggiano.
Lei avanza tra un sorriso beffardo e un urlo, si rattrista, si allarma, sghignazza feroce su di lui che al suo confronto balbetta. L’imbarazzo diventa la logica ragione della storia, del viveur don Mimì Soriano che da venticinque anni sfrutta Filumena ex prostituta e che adesso reclama le nozze.
I figli illegittimi stanno ancora dietro le quinte e affioreranno pian piano nel finale quando la storia prende volto e dimensioni, e andranno a fortificare l’arringa di lei che perdura in tutti e tre gli atti teatrali, tra pause, silenzi calcolati, diventa ostinazione alla quale si aggrappano sia lei che lui che ancora rifiuta e sbeffeggia lei. Non ci sono anticipi di rassegnata disillusione.
Il traboccare di sentimenti di lei che ancora lo ama, aumenta, supera gli argini, esplodono come in un thriller i desideri, i giudizi, i sentimenti offesi, le desolazioni. Anche la regia di Liliana Cavani che esordisce in teatro risplende come meglio non si poteva.
Del resto lo stesso Eduardo lo rimarcava: ”Sono sempre tragedie le mie commedie, anche quando fanno ridere, mia intenzione è che il pubblico rida di se stesso”.
E il pubblico ha riso ma anche applaudito, in piedi, per circa sette minuti. un bel viatico per la tournèe della Gitiesse Artisti riuniti e per Geppy Gleijeses che in una nostra intervista ci rivela che si appresta a dirigere “L’abito nuovo” che prende lo spunto da una novella di Pirandello.
Quando gli ricordiamo l’avvertimento che Eduardo diede a Regina Bianchi (Filumena): “Regì, guarda che Titina (altra Filumena) vedrà la tua interpretazione” e quel che poi raccontò Andrea Camilleri che dopo il primo atto la Bianchi gli svenne tra le braccia per la forte emozione, Gleijeses rivela un’altra preoccupazione: ”Per me è diverso, a me guarda Eduardo, che sono suo allievo. Nel 75 quando io avevo vent’anni dopo due commedie che lui mi aveva concesso e indicato la strada per l’interpretazione, scrisse al giornale “Paese sera” revocando “per questo giovane il veto alle mie opere”. Poi per me Regina Bianchi è stata una sorta di madre e figlia teatrale, mi ha scritturato in vari spettacoli. Una persona meravigliosa. Adesso mi ritrovo qui ad Agrigento che è una delle due grandi patrie teatrali perché Agrigento e Napoli sono i due poli principali della teatralità italiana insieme anche a Venezia che detengono la matrice ancestrale, territoriale dove i dialetti sono anche l’origine della poesia. E di Pirandello io sto mettendo in scena con la regia della Cavani “Il piacere dell’onestà”.
Quante volte Pirandello?
“Ritengo la quinta, “L’uomo la bestia la virtù” con la regia di Di Pasquale, “Liolà” con Regina Bianchi, “Il gioco delle parti” regia di Egisto Marcucci, no, è la quarta”.
Questo eterno ritorno di Pirandello sulle scene forse vuol dire che i registi vi trovano, più che in altri, la sollecitazione a innovare e magari a sperimentare?
“I grandi sono sempre suscettibili di interpretazioni. Da attore e regista io penso che il testo va interpretato e non violentato. Mai si dovrebbe procedere al ricalco, infatti in “Filumena Marturano” ci sono tante novità, ma tante novità sommate tra loro, anche piccole, sorta di frammenti amorosi, come diceva Barthes, piccoli spostamenti progressivi del piacere. Si procede per piccoli passi, la tradizione bisogna digerirla e metabolizzarla, non se ne può fare a meno. Se no vai da un’altra parte, fai un’altra cosa. Per quanto mi riguarda io restituisco l’essenza di Eduardo senza copiare gli altri. Questo credo sia fondamentale. E Pirandello vi è apparentato. C’è sempre l’opportunità di fare interpretazioni nuove, diverse, importante è di non distruggere l’opera”.
La grande critica teatrale che fine ha fatto? Oggi la critica non smuove neanche i sassolini.
“Se lei mi chiede della critica oggi, rispondo che i grandi critici non ci sono più, sono rimasti pochissimi. Oggi c’è il boom degli abbonati. Io dirigo il Teatro Quirino di Roma e ieri sera era a Roma e il teatro era affollatissimo, abbiamo seimila abbonati e vi si sta rappresentando “Le sorelle Materassi” spettacolo da me diretto e prodotto. Bisogna saperlo fare il teatro e non è facile. La tv ha rovinato il gusto della gente, i grandi critici c’erano, Roberto De Monticelli, Giorgio Prosperi, molti oggi scrivono online ma “ad capocchiam” come si dice. Fare il critico è un mestiere, non si inventa, non ci si improvvisa”.
Che ne direbbe dei trailer per il teatro come ci sono oggi quelli per il cinema?
“Si, potrebbe essere una buona idea ma il teatro ha sistemi di comunicazione diversi che non passano attraverso i grandi media. Il teatro rimane un fenomeno d’èlite per il tipo di capienza che ha un teatro e va veicolato attraverso strade precise senza improvvisare”.
La rivedremo ad Agrigento?
“Intanto questa sera. Spero di si, faccio “Il piacere dell’onestà”, spero di tornare ad Agrigento che amo e a Pirandello”.
E’ d’accordo che il “Teatro Pirandello” dovrebbe avere le prime del nostro drammaturgo?
“Anche questo è vero, sono d’accordo”.
Doveroso citare gli altri interpreti: Nunzia Schiano, Mimmo Mignemi, Ylenia Oliviero, Elisabetta Mirra, Agostino Pannone, Gregorio De Paola, Adriano Falivene, Fabio Pappacena. Scene e costumi di Raimonda Gaetani, musiche di Teho Teardo.
Fotogallery di Diego Romeo.