Agrigento: Conoscete Silvio Benedetto?

Altra immagine

Che Guevara sul tavolo dell’obitorio

Ciclo mondo greco


Dov’è il “Leckender mann” (1973) insozzato di blu, il “Go home” del 1971, le sfere-mondi incombenti di “Fur dic sintflut” ancora del 1971?
E lo sguardo di Siqueiros, gli occhi spenti del “Che” all’obitorio, sgranati sui bastardi militi boliviani?
Me lo chiedo oggi che Silvio Benedetto è tornato ad Agrigento, sfogliando il catalogo della “Neue Munchner Galerie” dove nel 1973 Benedetto espose le sue prime opere per il definitivo rientro in Europa da Buenos Aires.
Appena tre anni dopo, nel 1976, la rassegna palermitana “Il sacro nell’arte” assesta il suo colpo inquisitore respingendo per oscenità la trilogia “Mondo greco e Pietas”.
Oscenità o favoritismo si chiese Benedetto in una lettera al cardinale Pappalardo che recava come post scriptum una tagliente epigrafe di Hans Kung: “A volte si direbbe che al di fuori della Chiesa di Gesù sia persino più popolare che non all’interno della Chiesa e dei suoi organi di governo, laddove nelle prassi dogmi e canoni e soprattutto politica e diplomazia svolgono sovente un ruolo più importante del Signore stesso”.

Dipinto sulla roccia

Grafica

La presa delle terre di Silvio Benedetto

Lapide in piazza san Giusepppe

Piazza san Giuseppe


Ma oggi questa trilogia dov’è? Avrà avuto l’onore di una Basilica? E la Madonna di Ravanusa (ricordate le polemiche?) avrà superato l’esame di oscenità?
Per anni, io e la compianta Rosetta Romano “inseguimmo” Silvio Benedetto, lui più tenace di Berlusconi col suo “De Ghelderode” in piazza a Cefalù, in un seminterrato di Palermo, a Campbello di Licata dove ha la sua piazza d’armi, nello spazio-club dell’Esseaerre per il suo “teatro d’appartamento”.
E poi al Posta Vecchia, in piazza don Minzoni e nella campagna vicino san Nicola dove mise in scena per il Piccolo Teatro una epica “La sagra del signore della nave”.
Molte messinscena a lume di candela, alla Barry Lindon ed io costretto a tirare a mille Asa il bianco nero. Una sola volta profanai col flash il suo De Ghelderode. Fu in un buio seminterrato di Palermo dove si recitava l’Escurial. Per arrivarci bisognava attraversare una strada malfamata e parallela a Via Maqueda dove antiche puttane guardavano attonite gli estimatori che si recavano a vedere lo spettacolo.
Proprio così, Silvio Benedetto ha segnato fortemente la mia vicenda di spettatore e un giorno o l’altro dovrò decidermi a tirare fuori gli scatti e regalargli una mostra. Oggi Benedetto è stato chiamato ad illustrare il pensiero di Empedocle attraverso un unico percorso illustrativo dove l’artista deve evocare la grecità implicita nella storia della città di Agrigento rappresentando le origini culturali e storiche attraverso un linguaggio contemporaneo. L’artista ha previsto la collocazione di quattro massi a visione multipla volutamente grezzi ai lati e nell’interno per valorizzare la bellezza della pietra e recanti sulle rispettive facce esterne inserimenti artistici di esecuzione polimaterica raffiguranti il pensiero di Empedocle, (i quattro elementi, il binomio amore-odio, il mito) il tutto con uno sguardo attento all’identità siciliana.

Pietas opera di Silvio Benedetto

Silvio Benedetto in alcune interpretazioni teatrali

Siqueiros 1970

Studio su santa Teresa di Silvio Benedetto


I quattro massi saranno posati su una superficie altamente riflettente con richiamo al cielo e all’acqua e circoscritti da tre cerchi concentrici calpestabili. Per piazza Lena saranno collocati altri tre massi a visione multipla. Qui gli elementi figurativi saranno ottenuti rivisitando il mosaico classico con l’impegno di materiali diversi che ben si prestano a tradurre il dinamismo cosmico del pensiero di Empedocle. Anche questi tre massi poggeranno su superficie altamente riflettente. Quando lo incontriamo in un momento di pausa nella segreteria del sindaco Firetto, più che una intervista ci rilascia una serie di sue impressioni, quasi annusando l’odore dei secoli della vecchia città e in ricordo dei momenti felici ad Agrigento e che lo coinvolgono in queste sue ultime creazioni: “Percorrendo Via Atenea con l’intenzione di raggiungere il Municipio, mentre camminavamo insieme, a sinistra ci richiamavano i rumori dei flex, fumi bianchi, gargarismi di miscele cementizie: stanno ultimando la lavorazione di Piazza San Giuseppe. Facendo ping-pong tra il Circolo Empedocleo e la facciata della chiesa a destra, la pallina oculare ha piacere di rimbalzare e non sostare su un palazzaccio che difficilmente fa riaffiorare la memoria della vallata. Ma a tutto ciò vengono ancora emotivamente a sovrapporsi flash-back di me ad Agrigento tanti anni fa, perché intravedo, prima di arrivare al Teatro Pirandello, noi stessi girando con Olga e gli amici attori diretti a la Ruga Reale per l’immancabile spaghettata con bicchiere di rosso dopo la nostra recita. A noi si aggiunge ora Rosetta Romano. A noi viandanti, vaganti come le mine di Özpetek, così si aggiungono figure ormai virtuali ma tangibili quanto un volo pindarico che un ossimoro vuole. Certo é che anche Empedocle si è aggiunto a questa camminata. Ci ha raggiunto con il volto un po’ fumogeno ritornando dall’Etna. Gli racconto che dedicheremo al suo lavoro filosofico quella piazza che abbiamo appena sorpassato. Non solo, così anche Piazza Lena, dove ancora si sente l’abbanniata dei pescatori con il loro carico argenteo sui muli profumati di fieno e di mare. L’Empedocleo mi guarda stupito, mi vede un po’ stanco e mi consiglia qualche infuso di erbe miracolose: certo, lui è un medico, un fisico, un poeta, un naturalista. Mi volto e non c’é più. Quando tornerà troverà, inamovibili, nelle piazze dove sto intervenendo artisticamente, il fuoco, l’aria, l’acqua, la terra: le sue “radici”. Anzi, più che “nelle piazze”, le vedrà a Piazza San Giuseppe (il Santo si chiederà perché), da me realizzate in materiali polimaterici quanto quelli della non lontana Piazza Lena. Là dove pietre ceramizzate, frammenti diversi, rocce si configureranno in una rappresentazione dell’amore-odio, ossia dell’aggregazione-disgregazione empedoclea.

Uno scorcio di piazza san Giuseppe


Sarà un dialogo molto bello con il contesto architettonico, dove concettualmente luci, tagli litici ci parlano del cosmo e delle costellazioni. Sarà un pulsante, stimolante push-pull “gioco-forza” di cultura e pensiero tra un racconto del silenzio interiore, quel Cosmo appena nominato e la passione (la passione cerca sempre uno spettatore, non può essere sempre silente) dell’incontro tra Ares e Afrodite inevitabilmente da me raffigurati per far emergere la tensione del loro sguardo. Se predomina Ares, sia martedì o no, per Empedocle è il caos”.
Le foto sono di Diego Romeo