Cannibalismo d’amore al “Posta vecchia” di Agrigento

“Io non posso sopravviverti se no ti perderei di nuovo”!.

Siamo alle ultime tragiche battute dell’ultima commedia “Studio Cappelli” scritta da Annibale Ruccello, grande commediografo napoletano scomparso nel 1986 a soli trent’anni.

Sulla scena del Posta vecchia un tavolo è stato trasformato in un improvvisato catafalco. La protagonista, l’attrice Alice Ferlito, sta vegliando il suo Tonino che lei ha ucciso per timore di perderlo. Siamo al culmine di una rappresentazione tratta da un caso di cronaca non certo raro. Non solo il teatro ma anche il cinema si è incaricato di narrare e spiegare questi accadimenti di passione estrema, soprattutto il cinema giapponese con “Abesada, l’abisso dei sensi” e poi tra i più famosi “L’impero dei sensi” di Nagisa Oshima.

Anche il cinema italiano su questi temi annovera una sua opera per la regia di Marco Ferreri, “La carne” dove Sergio Castellitto tagliava a fette la Debora Caprioglio che aveva deciso di abbandonarlo, conservando poi le carni in frigorifero.

Nell’opera di Ruccello, monologo lungo e difficile che impegna allo stremo l’interprete, una fragile impiegata comunale dopo anni di solitudine e sofferenza incontra Tonino, ricco impiegato con cui andrà a convivere. Ma il passato di paura e di privazioni avrà la meglio devastando la sua mente e i suoi sentimenti, fino all’ultimo estremo gesto di tenerlo pazzamente  per se.

Alice Ferlito molto provata dall'emozione
Alice Ferlito
Approcci iniziali
Durante la veglia
La paura di perdere l'amato
L'inizio timido intorno a un tavolo
Un momento della veglia

Quello che si è visto al Posta vecchia era un monologo ridotto ma non per questo i due protagonisti, la Ferlito e Francesco Bernava, sono venuti meno all’obbligo, alto e delirante, richiesto dalla messinscena del regista Antonello De Rosa.

Le musiche entrano violentemente nelle pause tratte da “La Traviata”, opera lirica che si porta con se lo strano destino di accompagnare momenti drammatici e terminali della vita, come ad esempio le sequenze finali de “I pugni in tasca” di Marco Bellocchio.

Alla fine tutti commossi al Posta vecchia e parecchi spettatori si sono alzati ad applaudire.

Sulla scena, per il saluto finale, Alice Ferlito appare distrutta, il volto rigato dalle lacrime, si preme il diaframma con le mani quasi ad espellere l’altissima tensione che aveva prodotto quel suo immedesimarsi e che non le consente nemmeno di dire grazie. Finalmente le luci si abbassano.

Una liberazione!