“Carceri insoddisfacenti, ad Agrigento 388 detenuti, su capienza pari a 276”

“Al 30 giugno 2016 era pari a 2.629 il totale dei detenuti presenti negli otto istituti che operano nel distretto, di cui 87 donne, 538 stranieri, 432 tossicodipendenti.

La popolazione carceraria del distretto si mantiene dunque sostanzialmente sugli stessi livelli del periodo precedente (al 30 giugno 2015 si registrava un totale di 2.649 detenuti), comunque sempre al di sotto del limite ufficiale della capienza regolamentare complessiva dei suddetti otto istituti, oggi pari a 2.690 posti”.

E’ quanto emerge dalla relazione sull’amministrazione della giustizia dal 1° luglio 2015 al 30 giugno 2016 del presidente reggente della Corte di Appello di Palermo, Matteo Frasca, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario.

“Il dato complessivo, tuttavia, non conforta – sottolinea – se si considera che solo la casa di reclusione di Palermo Ucciardone ospita un numero di detenuti sensibilmente inferiore alla capienza (333 su 572), mentre sono più d’uno, fra gli istituti in parola, quelli in cui risulta significativamente sforato il predetto limite, (in sè comunque scarsamente affidabile, al pari di quello relativo alla ricettività regolamentare, poichè entrambi determinati dall’amministrazione con riguardo a situazioni preesistenti delle strutture, verosimilmente evolutesi nel tempo in senso peggiorativo). Così è, in particolare – aggiunge Frasca -, per le case circondariali di Agrigento (con 388 detenuti, su una capienza pari a 276, alla data del 30 giugno 2016), di Castelvetrano (con 67 detenuti su una capienza pari a 44), di Termini Imerese (con 106 detenuti su una capienza pari a 87), di Palermo-Pagliarelli (con 1.226 detenuti su una capienza di 1.178). In più, in molti degli istituti citati, all’eccesso di presenze si uniscono tutte le gravi criticità legate alla vetustà degli edifici e degli impianti. In questo quadro meglio si comprendono le ragioni per cui siano state descritte come non soddisfacenti le condizioni di vita che si registrano nelle nostre carceri – conclude -. Condizioni di vita, che, mentre compromettono la finalità rieducativa della pena (vanificando la ragione stessa dello stato di restrizione), inevitabilmente producono un clima diffuso di tensione”.