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I racconti dei pentiti sul delitto Passafiume: “L’omicidio fece adirare il boss Fragapane”

In quasi 150 pagine di sentenza i giudici hanno ricostruito non soltanto i passaggi relativi al delitto dell’onesto imprenditore, ammazzato perchè non si era piegato alle logiche di Cosa nostra, ma ripercorso anche una lunga scia di sangue nella bassa Quisquina

Pubblicato 2 ore fa

La Corte di assise di appello di Palermo, presieduta da Angelo Pellino, ha depositato negli scorsi giorni le motivazioni della sentenza con la quale è stato confermato il carcere a vita nei confronti di Filippo Sciara, storico uomo d’onore di Siculiana, per l’omicidio di Diego Passafiume. L’imprenditore venne ucciso a Cianciana il 22 agosto 1993 davanti a moglie, cognata, suocera e nipoti. In quasi 150 pagine di sentenza i giudici hanno ricostruito non soltanto i passaggi relativi al delitto dell’onesto imprenditore, ammazzato perchè non si era piegato alle logiche di Cosa nostra, ma ripercorso anche una lunga scia di sangue nella bassa Quisquina tra il 1991 ed il 1994. Un contributo importante al processo è stato certamente fornito dai collaboratori di giustizia, tra tutti Pasquale Salemi, primo vero pentito della mafia agrigentina. Il delitto Passafiume, come è stato accertato finora nei due gradi di giudizio, sarebbe stato ordinato da Giovanni Pollari, ambizioso uomo d’onore della zona e imprenditore, ed eseguito da Sciara che – secondo il racconto dei pentiti – faceva parte di un gruppo di killer che operava in quella zona. L’omicidio di Diego Passafiume, secondo almeno due pentiti, avrebbe scatenato l’ira dell’allora capo indiscusso di Cosa nostra aagrigentina, il boss Salvatore Fragapane, tenuto all’oscuro di tutto. Ecco le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia riportate nella sentenza della Corte di assise di appello. 

PASQUALE SALEMI

“Concorrono ad integrare il compendio probatorio su cui il giudice di primo grado fonda la pronuncia di colpevolezza dell’odierno imputato anche le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che sono stati escussi al dibattimento. Ma tali contributi, nella valutazione del giudice di prime cure, sono sovrastati, sul piano della rilevanza probatoria, dalle propalazioni di Pasquale Salemi, sebbene non sia stato possibile esaminarlo perchè deceduto [..] La sentenza impugnata ripercorre la genesi del collaboratore di giustizia Salemi, iniziata nel maggio 1997 e per una decisione spontanea essendo il neo collaborante ancora libero; e dopo aver dato atto del suo faticoso iter nella fase iniziale, segnato da un momento in cui la sua credibilità sembrava compromessa (in particolare quando, nel luglio del 1998, aveva reso dichiarazioni reticenti o non conformi ai doveri di correttezza e lealtà processuale, tanto da meritarsi anche una condanna per calunnia), pervengono ad un giudizio di pieno apprezzamento in ordine alla credibilità soggettiva con il conforto dei favorevoli responsi emessi da altre autorità giudiziaria. In numerosi altri processi a carico di esponenti di spicco delle consorterie mafiose dell’agrigentino imputati di gravissimi delitti, definiti con sentenze passate in giudicato (Akragas) anche con il contributo decisivo delle dichiarazioni del Salemi, altre Corti ne avevano vagliato con esito positivo l’attendibilità complessiva nonostante il rigore giustificato dall’incerto avvio della collaborazione. Tutte comunque davano atto che Pasquale Salemi, già uomo d’onore della famiglia mafiosa di Porto Empedocle e nipote di quel Antonio Messina che ne era stato il rappresentate, è stato storicamente il primo collaboratore di giustizia proveniente dalle fila di Cosa nostra agrigentina, e le sue rivelazioni hanno consentito di fare luce su gravissimi delitti e di aprire uno squarcio sulla realtà e le dinamiche criminali delle cosche mafiosi operanti nell’agrientino. Una realtà che, fino al momento della collaborazione del Salemi, era risultata impenetrabile agli inquirenti e che solo dopo la collaborazione del Salemi facendo i nomi di numerosi ex sodali, aveva registrato la defezioni di numerosi altri esponenti mafiosi anche di spicco che avevano a loro volta avviato un percorso di collaborazione con la giustizia. Inoltre, da libero, Salemi aveva confessato numerosi delitti, compresi alcuni omicidi dei quali non era neppure sospettato; ed aveva subito pagato uno scotto per la sua decisione di recidere i legami con l’organizzazione mafiosa subendo una serie di gravi intimidazioni [..] La sentenza si sofferma quindi su ulteriori profili di attendibilità [..] Le dichiarazioni che più specificamente si riferiscono alla vicenda qui in esame sono, per quanto sintetiche, sufficientemente precise nonché costanti e coerenti: sono state ribadite nel tempo, e arricchite da dettagli certamente ascrivibili al bagaglio originario e genuino di conoscenze del dichiarante. Anche l’errore commesso inizialmente nel declinare il cognome della vittima (Passalacqua invece che Passafiume) non può che valutarsi, a parere dei giudici di primo grado, come indice di genuinità e dell’assenza di qualsivoglia manipolazione dei dati processuali, posto che ha sempre indicato la vittima come un piccolo imprenditore di Cianciana. Il racconto del contesto mafioso in cui matura l’omicidio si snoda chiaro, lineare e coerente; e lo scenario descritto con riferimento alla realtà mafiosa della bassa Quisquina, e di Cianciana in particolare, trova conferma nelle plurime e distinte fonti con particolare riguardo alla figura di Pollari ed ai rapporti tra quest’ultimo ed esponenti delle cosche mafiose di Siculiana e Ribera. D’altra parte, premesso il giudizio di attendibilità del dichiarante quanto alla sua sincerità, non meno attendibile è la confessione attribuita allo Sciara. Si tratta infatti di una confidenza a carattere confessorio non imputabile certo a millanteria, perchè tutto in linea con la figura ed il ruolo criminali dello stesso Sciara. Sotto il profilo, infine, dell’attendibilità estrinseca, la sentenza evidenzia come riscontro indiretti si ricavano dalle propalazioni degli altri collaboratori di giustizia che delineano un contesto criminale mafioso del tutto convergente con quello evocato dal Salemi, autori riguardo al periodo considerato e alla realtà mafiosa di Cianciana e della bassa Quisquina, ai principali interessi dell’organizzazione mafiosa in quel territorio, alle figure di alcuni dei maggiori esponenti delle locali cosche e dei rispettivi ruoli criminali, e alle modalità attuative dei più gravi delitti; nonché dell’essere Pollari il mandante di una serie di delitti commessi in quel contesto criminali da un gruppo di sicari e affiliati mafiosi, tra i quali lo Sciara, il Renna, i Capizzi, a lui a vario titolo legati o vicini.”

LUIGI PUTRONE

“Per esempio Luigi Putrone racconta di aver appreso di una serie di omicidi commessi nella valle del Belice tra il 1991 ed il 1992 presso il cantiere dei Panepinto, imprenditori competitori di Pollari, e di aver appreso di tali omicidi proprio di Filippo Sciara, che vi aveva partecipato. Così come lo Sciara gli rivelò di avere partecipato ad un quadruplice omicidio a Licata. Sempre Putrone ha riferito di avere preso parte insieme a Sciara a un omicidio commesso a Siculiana ed eseguito da un commando di cui facevano parte, oltre che lo stesso Putrone e lo Sciara, anche Mario Capizzi e un altro soggetto (forse Deleritto o Derelitto). E gli consta che all’epoca in territorio di Cianciana era in azione na squadra di killer composta proprio da Filippo Sciara, Giuseppe Renna e Mario Capizzi che era di Ribera. Ed ha chiarito che in quel periodo ad Agrigento c’erano delle famiglie più vicine ad altre nella provincia, e che erano solite scambiarsi favori anche nella perpetrazione dei delitti, inclusi gli omicidi; in particolare vi era uno stretto legame tra la famiglia di Cianciana e quella di Ribera e Siculiana, i cui componenti erano rispettivamente Di Girgenti, Simone Capizzi e Filippo Sciara. Ancora, Putrone h rivelato che i rapporti tra Sciara e Pollari erano buoni, avendo tra l’altro entrambi partecipato al sequestro del piccolo Di Matteo nel periodo della sua detenzione in territorio di Agrigento. Ha poi riconosciuto lo Sciara sia in fotografia che di persona nell’udienza in cui l’imputato era presente in videoconferenza.” 

MAURIZIO DI GATI

“Maurizio Di Gati ha diffusamente riferito sul ruolo criminale e le gesta di Filippo Sciara, acerrimo nemico degli stiddari ma nulla di specifico sa sull’omicidio Passafiume e dell’eventualmente coinvolgimento dello Sciara. Tuttavia, conferma che nella zona di Cianciana che apparteneva al mandamento di Santo Stefano Quisquina, comandavano sia la famiglia Capizzi di Ribera che Giovanni Pollari, indicato quale imprenditore del calcestruzzo di Cianciana inserito in Cosa nostra e soggetto molto ambizioso poiché desideroso di espandersi, anche nei vari paesi vicini al contesto territoriale in cui operava professionalmente; in quella zona vi erano contrasti non dichiarati ma “sottobanco” tra i predetti e Salvatore Fragapane, al quale all’inizio, il Pollari era stato molto vicino, avendo gestito la fase iniziale della sua latitanza ospitandolo in una casa sotto l’impianto di calcestruzzo. Circa eventuali responsabilità del Pollari nella commissione di delitti, ha riferito che il Fragapane gli aveva detto che tutto ciò che succedeva in quella zona, quanto ad omicidi e altre cose, passava per il Pollari; e del resto lui stesso aveva commesso alcuni omicidi insieme al Pollari. Dell’omicidio Passafiume sa solo che fu commesso senza che il rappresentante provinciale Fragapane sapesse nulla, ciò che scatenò sanguinose ripercussioni: prima dell’arresto di Pollari, vi era stato un omicidio nelle zone di Cianciana durante la latitanza di Salvatore Fragapane, come aveva appreso dal Fragapane, da Vincenzo Licata, uomo d’onore di Grotte, e da Arturo Messina di Villaseta, in quel momento vice rappresentante della provincia di Agrigento – soggetti che frequentava tutti i giorni. In particolare, vi era stata una grossa lamentela da parte dell’allora capo mandamento di Santo Stefano Quisuquina, Vincenzo Di Girgenti, in quanto questo omicidio era stato fatto dal Pollari e da gente di Ribera appartenente a Cosa Nostra, ed il Di Girgenti aveva accusato “Fragapane, Pollari e persone di Ribera” di averlo fatto senza la sua preventiva autorizzazione. Di Gati ha spiegato che, come si era appreso in seguito, l’omicidio era stato fatto proprio perchè Pollari voleva “prendere il potere della zona di Cianciana, Santo Stefano Quisquina, di Bivona e di .. un altro paesino là vicino che non mi ricordo.. e Sambuca di Sicilia.. e appoggiato dalla famiglia di Ribera, da Giuseppe.. Mario Capizzi, da suo padre.. come si chiama suo padre.. si chiamava.. lo chiamavano tutti Giuseppe però non si chiama Giuseppe..”; Pollari aveva avuto con il Passafiume dei forti contrasti per i lavori di sbancamento, tuttavia, non essendo inizialmente chiaro chi avesse commesso tale omicidio, il Fragapane aveva mandato a chiamare il Sedita, uomo d’onore di Cosa nostra, il quale – come si era scoperto successivamente – per timore di essere ucciso non si era recato dal Fragapane “ e da lì si mette in moto una strategia, nel senso che il Fragapane pensa in quel momento che Sedita fosse implicato e ne scaturisce il suo omicidio commissionato da Salvatore Fragapane”. Anche Di Gati era al corrente dell’esistenza di un gruppo di fuoco che eseguiva gli omicidi nella zona della bassa Quisquina, di Siculiana e Ribera, gruppo composto da Giovanni Pollari, Mario Capizzi, Simone Capizzi, Filippo Sciara e Giuseppe Renna fermo restando che, in generale, si evitava di far realizzare omicidi all’interno del proprio paese – ed anzi si cercava di far creare un alibi al soggetto che sarebbe stato il primo indiziato dalle forze dell’ordine – e precisando che, per commettere gli omicidi in quella zona venivano utilizzate delle auto rubate, in precedenza, e custodite in un garage a Grotte per tali finalità, mentre venivano utilizzate da parte dei killer armi proprie”.

GIUSEPPE SALVATORE VACCARO 

“Un riscontro pregnante, con riferimento alla ricostruzione dell’omicidio Passafiume e all’identità dei colpevoli è venuto dalla deposizione di Giuseppe Salvatore Vaccaro Notte a proposito del coinvolgimento diretto e quale mandante del delitto di Giovanni Pollari, per averlo appreso da Salvatore Fragapane. In particolare, ha riferito che aveva appreso la notizia dell’omicidio del Passafiume al telegiornale ad ora di pranzo e si era, quindi, recato dal Fragapane il quale non ne era al corrente, per riferirgliela e, successivamente, aveva appreso dal Fragapane che era stato proprio il Pollari, a causa di alcuni disguidi con il morto, anche se non aveva interpellato il Fragapane prima dell’omicidio, circostanza che aveva fatto adirare quest’ultimo. Ha inoltre raccontato un episodio che dimostra come, dopo l’omicidio Passafiume, il Pollari temesse ritorsioni da parte del Fragapane.”

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