Quando il cuculo volò sul manicomio di Agrigento

“Per troppo tempo la storia agrigentina è stata raccontata male. Sia chiaro, il passato ci consegna tante scelleratezze. Ma abbiamo cambiato marcia, il percorso di maturazione è complicato, lungo ma esaltante e dovrà essere acquisito da ciascun cittadino, perché senza il protagonismo di ciascuno non vinciamo la sfida del nuovo futuro”.

Così il sindaco Firetto nel presentare il programma di Agrigento città della cultura 2020.

Ci si chiede se culturalmente e politicamente può essere sufficiente ricordare Domenico  Modugno nel modo in cui si è voluto ricordare l’altro giorno con la presenza di un deputato di Articolo Uno, Angelo Capodicasa, del presidente del Wwf Gaetano Benedetto e con le rabbiose impennate dell’attore Totò Nocera Bracco. 

Un programma inaspettatamente  minimo (corredato da un filmato di 5 minuti inviato da Michele Guardì con un Modugno che canta a ridosso del tempio dei Dioscuri) che si è concluso con la scopertura di una silhouette minimalista offerta dall’Accademia di Belle Arti non certo a mò d’esempio delle belle arti.

Una silhouette calcinata posta sul belvedere di Piazza Sinatra già dedicato al prefetto D’Agostino sloggiato maldestramente dalla memoria urbana.

Neanche la Prefettura ci risulta abbia detto alcunchè su questo nuovo trend da “divide et impera”. Dovremmo continuare a ripeterci che la storia agrigentina è stata raccontata male?

Da questo omaggio a Modugno  non è venuto fuori granchè sul perché si ricordasse il celebre e amato cantautore che fu consigliere comunale di Agrigento e deputato radicale.

Sanno poco i giovani del Modugno parlamentare che scese ad Agrigento a ridare dignità ai ricoverati del manicomio di cui si conobbero “mirabilie” in una celebre inchiesta di Gad Lerner e del fotografo Franco Zecchin su “L’espresso” allora diretto da Giovanni Valentini.

Da quell’inchiesta venne fuori  il livello di “scristianizzazione” della Dc di allora e dei suoi sodali  socialcomunisti. Non solo, ma lo “scandalo del manicomio”, così fu definito, non trovò in Parlamento grandi invettive come accadde per la frana del 66 ma solo la decisione del Partito Radicale che inviò Domenico Modugno in ripetute visite risoltesi in ferme denunce sulle condizioni di vita dei pazienti ricoverati.

E Modugno offrì alla città in onore dei “matti da slegare” un concerto, il 3 marzo 1989, che poi risultò il suo ultimo per le difficili condizioni di salute.

Epperò resta il ricordo bello e drammatico della sua figura che si appoggiava al bastone e con le ricoverate che gli andavano incontro cantando “Dio come ti amo”.

Anche la Chiesa agrigentina allora non ne uscì tanto bene, don Enzo Di Natali che insieme a un gruppo di giovani di Radio Concordia aveva denunciato lo scandalo delle condizioni di vita dei “matti”, si ritrovò solo a lottare e dopo qualche anno abbandonò la talare per diventare il prof. Di Natali. 

Dall’inchiesta giornalistica alla parabola giudiziaria il percorso fu breve e con dovizia di particolari tutto si può trovare in un bel libro di Enrico Deaglio, “Patria”.

Ne citiamo alcuni passaggi:  Il direttore sanitario e il primario del manicomio  furono accusati di omicidio colposo e abbandono di incapace aggravato. L’inchiesta ruotava attorno alla morte sospetta di 36 ricoverati. Un consulente del pubblico ministero , il  prof. Cancrini sostiene senza mezzi termini che nelle cartelle cliniche dei ricoverati c’era la prova di un vero e proprio genocidio.

In primo grado ci furono severe condanne poi la Corte d’appello di Palermo assolse un po’ tutti. La caccia alle farfalle sotto l’Arco di Tito si era conclusa.

Otto mesi dopo il concerto, il 9 novembre 1989, cadeva il muro di Berlino. Qualche anno ancora e il “mariuolo” del Pio Albergo Trivulzio, avrebbe innescato “Mani pulite”.

A Lampedusa il 6 agosto 1994 moriva Domenico Modugno. Del concerto di Modugno  è rimasta traccia in un documentario che Teleacras  manda in onda in ore notturne.

Amen.