Agrigento

‘Ndrangheta, appalti pilotati dal clan Piromalli: arrestati imprenditori agrigentini (ft e vd)

Ci sono anche imprenditori agrigentini coinvolti nella maxi operazione “Waterfront” – coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria – ed eseguita alle prime luci dell’alba dalla Guardia di Finanza che ha coinvolto 63 persone. Quattro di loro sono “vecchie conoscenze” in quanto già raggiunti da ordinanza di custodia cautelare nel gennaio 2017 nel primo filone d’inchiesta […]

Pubblicato 4 anni fa

Ci sono anche imprenditori agrigentini coinvolti nella maxi operazione “Waterfront” – coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria – ed eseguita alle prime luci dell’alba dalla Guardia di Finanza che ha coinvolto 63 persone. Quattro di loro sono “vecchie conoscenze” in quanto già raggiunti da ordinanza di custodia cautelare nel gennaio 2017 nel primo filone d’inchiesta (operazione “Cumbertazione”) che aveva fatto luce sull’influenza nel settore degli appalti della potente famiglia di Ndrangheta dei Piromalli: si tratta degli imprenditori di Cammarata Francesco Migliore, 59 anni e Filippo Migliore, 50 anni(ex presidente del Kamarat calcio ed ex consigliere comunale), e gli imprenditori di Santo Stefano Quisquina Alessio La Corte, 36 anni e Vito La Greca, 39 anni. Tutti sono finiti agli arresti domiciliari questa mattina. 

Sessantatré le persone coinvolte nella maxi operazione. L’operazione, coordinata dal procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri e denominata ‘Waterfront’, e’ l’epilogo delle indagini sull’ ala imprenditoriale dei Piromalli. Dagli accertamenti, infatti, e’ emersa l’esistenza di un cartello composto da imprenditori e pubblici ufficiali ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla turbativa d’asta aggravata dall’agevolazione mafiosa, frode nelle pubbliche forniture, corruzione ed altri reati. Sono 11 i funzionari pubblici coinvolti.

 In 14 sono finiti agli arresti domiciliari: Francesco Bagalà (43 anni), Francesco Bagalà (30 anni), Giorgio Morabito, Angela Nicoletta, Carlo Cittadini, Giorgio Ottavio Barbieri, Cristiano Zuliani, Francesco Migliore, Filippo Migliore, Alessio La Corte, Vito La Greca, Francesco Mangione, Giovanni Fiordaliso, Domenico Gallo. Obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per altri 20 indagati: Pierluigi Risola, Antonino Crea, Michele Gabriele, Santo Fedele, Giuseppe Currenti, Francesco Fedele, Bruno Polifroni, Santo Custureri, Luigi Bagalà, Alessandra Campisi, Caterina De Giuseppe, Marzia Granchi, Pietro Pileggi, Antonino Quatrone, Domenico Coppola, Santo Gagliostro, Vincenzo Bressi, Maria Alati, Luca Giacchetti, Simona Castiglione. Sono 29 i divieti temporanei di esercitare attività imprenditoriale per: Andrea Amato, Antonio Barbaro, Francesco Ciambriello, Antonio Cilona, Sergio Cittadini, Giuseppe Cosentino, Demetrio De Angelis, Francesco Deraco, Gianluca Fiore, Iacopo Granchi, Rossano Granchi, Angelo Sebastiano Locatelli, Giuseppe Loprete, Leonardo Maiolo, Mattia Mattogno, Domenico Maugeri, Ludovica Giuseppina Miceli, Giovanni Oliveri, Giuseppe Patrice Oliveri, Antonino Papalia, Alessandro Piccirilli, Francesco Pileggi, Fortunato Igor Pisano, Vincenzo Polifroni, Carlo Pollaccia, Giovanni Romano, Agostino Ruberto, Giovanni Todarello, Francesca Trunfio.

Appalti pilotati, almeno 22 per un valore di oltre 100 milioni di euro, per favorire la ‘ndrangheta. Oltre 500 finanzieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, unitamente al Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata ed ai colleghi dei rispettivi Comandi Provinciali, sotto il coordinamento della locale Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, diretta dal Procuratore Capo Giovanni Bombardieri, hanno dato corso, nelle province di Reggio Calabria, Catanzaro, Cosenza, Vibo Valentia, Messina, Palermo, Trapani, Agrigento, Benevento, Avellino, Milano, Alessandria, Brescia, Gorizia, Pisa, Bologna e Roma, all’esecuzione dell’“Ordinanza di applicazione di misura cautelare” emessa dal G.I.P. del Tribunale di Reggio Calabria – Filippo Aragona – su richiesta del Procuratore aggiunto Calogero Gaetano Paci e del Sostituto procuratore Gianluca Gelso – con la quale sono stati disposti provvedimenti cautelari: personali, nei confronti di 63 persone – imprenditori e pubblici ufficiali – ritenute responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere finalizzata alla turbativa d’asta, frode in pubbliche forniture, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche – aggravate dall’agevolazione mafiosa – nonché abuso d’ufficio e corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio.

In tale contesto, la citata A.G. ha disposto, altresì, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente fino alla concorrenza complessiva di circa 9,5 milioni di euro su beni mobili, immobili, quote e azioni di società, rapporti bancari/ finanziari/ assicurativi, intestati a 7 indagati. L’operazione in rassegna – denominata “Waterfront” – costituisce l’epilogo delle complesse indagini condotte dal G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Reggio Calabria, unitamente al Servizio Centrale I.C.O., con il coordinamento della predetta Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, nei confronti di 57 imprenditori facenti parte, a vario titolo, di un illecito cartello composto da molteplici imprese, capace di aggiudicarsi – attraverso turbative d’asta aggravate dall’agevolazione mafiosa – almeno 22 gare ad evidenza pubblica, in sistematica frode ai danni della Regione Calabria e della Comunità Europea. Le gare turbate e investigate dai militari del G.I.C.O., bandite tra il 2007 e il 2016 dalle stazioni appaltanti dei Comuni di Gioia Tauro e Rosarno, nonché dalla S.U.A.P. (Stazione Unica Appaltante) di Reggio Calabria, hanno riguardato appalti per un valore complessivo superiore a 100 milioni di euro.

Operazione Waterfront

Le indagini hanno portato alla luce l’esistenza di un cartello criminale composto da imprenditori e pubblici ufficiali ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla turbativa d’asta aggravata dall’agevolazione mafiosa, frode nelle pubbliche forniture, corruzione ed altri gravi reati.

Nel
dettaglio, le indagini – corroborate da consulenze tecniche all’uopo disposte
dalla Dda – hanno accertato: a. la turbativa di nr. 15 gare d’appalto – tra il
2014 e il 2016 – indette per la realizzazione di grandi opere pubbliche nei
comuni di Polistena, Rizziconi, Gioia Tauro, Gerace, Reggio Calabria, Santo
Stefano in Aspromonte, Maropati, Grotteria, Galatro, San Giorgio Morgeto,
Siderno, per un valore di oltre 58 milioni di euro. Al riguardo, è stato
individuato un illecito cartello costituito da 43 imprese aventi sede in
diverse regioni – articolato in cordate (calabrese, romana, toscana, siciliana
e campana) – che hanno partecipato – a vario titolo – ai pubblici incanti
investigati, determinandone indebitamente l’esito, attraverso la presentazione
di offerte precedentemente concordate, garantendo, in tal modo,
l’aggiudicazione degli appalti a una delle imprese del cartello. Anche laddove
il richiamato cartello non fosse riuscito vincitore, venivano messe in atto
manovre – sotto forma del subappalto o della procedura di nolo – al fine di
controllare la gara e la conseguente esecuzione dei lavori affidata, comunque,
alle imprese delle varie cordate. b. la turbativa di nr. 7 gare d’appalto,
conseguenti allo stanziamento – tra il 2007 e 2013 – di fondi comunitari per un
importo complessivo di circa 42 milioni di euro, destinati alla
riqualificazione delle aree urbane di Gioia Tauro, Rosarno e San Ferdinando, e
dei relativi lungomare, in attuazione di Progetti Integrati di Sviluppo Urbano
(P.I.S.U.) previsti dal “POR Calabria Fesr 2007/2013 Asse VIII Città Obiettivo
Specifico 8.1. “Città e Città ed Aree Urbane”. Le predette condotte
delittuose sono risultate aggravate dalla finalità di agevolare l’attività
della ‘ndrangheta, nella sua articolazione denominata cosca “Piromalli” di
Gioia Tauro (RC) che si è assicurata una rilevante “tangente ambientale”,
garantendo la realizzazione dei lavori. In questo sistema, sostenuto da un collante
composito fatto di imposizione ‘ndranghetistica e collusione, lo scopo
perseguito dal sodalizio criminale è stato quello di garantirsi il controllo
dell’intero sistema delle gare pubbliche indette dalle stazioni appaltanti
calabresi. Ai vertici di tale sodalizio, le risultanze investigative hanno
posto Bagalà Francesco cl. ‘77 e Morabito Giorgio i quali, con l’ausilio di
Bagalà Francesco
cl. ‘90, hanno realizzato una serie di numerosi reati contro la pubblica
amministrazione, nonché contro l’industria ed il commercio, al fine di
appropriarsi di ingenti risorse pubbliche costituite dai fondi comunitari
(P.I.S.U.), i quali, piuttosto che essere destinati ad una riqualificazione del
waterfront di Gioia Tauro, hanno consentito un ingente lucro ai danni degli
enti pubblici interessati. Il ruolo di imprenditori “collusi” dei Bagalà, era
già emerso in maniera chiara dalle risultanze del procedimento cd.
“Cumbertazione”, conclusa nel 2017 dal G.I.C.O. con l’esecuzione di
provvedimenti restrittivi personali nei confronti di 27 persone, per i reati di
associazione per delinquere di tipo mafioso, associazione per delinquere
semplice e aggravata, turbata libertà degli incanti, frode nelle pubbliche
forniture, corruzione e falso ideologico in atti pubblici, nonché di
provvedimenti cautelari reali su decine di imprese. Anche il Morabito, da
diverse concordanti dichiarazioni – ampiamente riscontrate – in considerazione
del suo spessore criminale, aveva rapporti di “vicinanza” con i referenti della
cosca sulla marina di Gioia Tauro. Invero, per l’esecuzione dei lavori di cui
agli appalti banditi dal quel comune, Morabito Giorgio, quale imprenditore
“colluso” e procuratore speciale delle ditte romane e siciliane appartenenti al
cartello illecito, ha consentito l’assunzione – nei cantieri dal medesimo
gestiti e/o alle dipendenze delle imprese aggiudicatarie – di maestranze
segnalate dal referente dei “Piromalli”, nonché l’utilizzazione di mezzi
meccanici e di un deposito riconducibili ad altri imprenditori vicini ad
ambienti criminali mafiosi. Le indagini eseguite nell’ambito dell’odierna
operazione hanno riguardato anche le condotte “a valle” delle gare di appalto
sopra descritte, focalizzando l’attenzione sull’esecuzione materiale delle
opere, permettendo di disvelare: – una sistematica frode in pubbliche forniture
relative a lavori nel comune di Gioia Tauro ed in quello di Rosarno in cui
erano stati stanziati fondi comunitari; – la percezione di somme non dovute,
per importi quantificati complessivamente in circa 6 milioni di euro. A tal
riguardo, le indagini hanno riscontrato diffuse irregolarità di carattere
contabile e amministrativo – quali, a titolo esemplificativo, la liquidazione
all’appaltatore di spese non dovute, distorto utilizzo delle cc.dd. “varianti
in corso d’opera”, difformità rispetto ai progetti approvati nell’esecuzione
dei lavori e nell’utilizzo dei materiali, omessi collaudi statici, consegne
parziali, polizze fidejussorie irregolari, prove non eseguite sulla qualità e
sullo spessore degli asfalti bituminosi – nell’esecuzione degli appalti per la
realizzazione – tra le altre – di importanti opere da destinare alla pubblica
utilità quali il Palazzetto dello Sport, il Parcheggio interrato e il Centro
Polifunzionale di Gioia Tauro, nonché il Centro Polisportivo di Rosarno.
Fondamentale, in tale contesto, è risultata l’acclarata complicità, a vario
titolo, di pubblici ufficiali – dirigenti e direttori dei lavori/collaudatori,
tecnici/progettisti e/o responsabili unici pro tempore dei procedimenti
relativi agli appalti – all’uopo incaricati dalle relative stazioni appaltanti.
È stato, infatti, accertato il ruolo svolto dal dirigente dell’Ufficio Tecnico
del Comune di Gioia Tauro, Ing. Nicoletta Angela, nonché dall’Architetto Francesco
Mangione che insieme hanno rivestito la qualifica di direttore dei lavori e
responsabile unico del procedimento per la maggioranza degli appalti relativi
al waterfront ed alle altre opere pubbliche indetti con i fondi P.I.S.U.,
consentendo ai legali rappresentanti delle ditte aggiudicatarie, di poter
lucrare ingenti profitti ai danni della Regione Calabria e della Comunità
Europea che ha cofinanziato i progetti di riqualificazione strutturale. Oltre
ai suddetti, con riferimento agli appalti indetti dal Comune di Gioia Tauro,
sono risultati coinvolti, a vario titolo, anche Risola Pierluigi, Crea
Antonino, Gabriele Michele E Bressi Vincenzo quali direttori dei
lavori/collaudatori tecnici/progettisti e/o responsabili unici pro tempore dei
procedimenti relativi agli appalti, nonché Campisi Alessandra e Alati Maria
quali, rispettivamente, Rup e segretario comunale, pro tempore del comune di
Rosarno.

Le
attività investigative hanno, altresì, certificato lo stabile rapporto
corruttivo insistente tra il funzionario dell’A.N.A.S. Compartimento di Reggio
Calabria, Ing. Giovanni Fiordaliso e il noto imprenditore Domenico Gallo –
dominus di numerose società fornitrici di bitume e calcestruzzo – finalizzato
alla frode nell’esecuzione di svariati contratti di fornitura (che celavano tra
l’altro subappalti non autorizzati), nonché svariati lavori in regime di somma
urgenza indebitamente affidati ad imprese riconducibili al Gallo – per un
valore complessivo pari a 3,5 milioni di euro – nell’ambito di n. 4 gare per
lavori di ammodernamento di tratti dell’Autostrada A2 Salerno – Reggio
Calabria, indette – tra il 2009 e il 2016 – da A.N.A.S. S.p.a. – ricevendo da
costui beni di lusso, altre indebite utilità e promesse di incarichi redditizi
nelle sue imprese. Al riguardo, è emerso che, per il tramite delle imprese a
lui risultate riconducibili, e con l’ingerenza del Fiordaliso, Gallo Domenico
ha potuto effettuare forniture di bitume in diversi tratti autostradali della
SA-RC, attraverso contratti di subfornitura o nolo a caldo e nolo a freddo che
celavano, in realtà, subappalti non autorizzati e utilizzando materiali di
qualità inferiore rispetto ai parametri imposti dai capitolati di appalto. Nel
dettaglio, a fronte delle utilità derivanti dalle omissioni poste in essere da Fiordaliso
Giovanni, il citato imprenditore – tra l’altro – attraverso bonifici bancari
recanti quale causale la retribuzione per prestazioni di lavoro mai effettuate
– faceva percepire somme di denaro, per circa euro 94.000, a De Giuseppe Caterina
coniuge del predetto funzionario A.N.A.S. alla quale sono state contestate
operazioni di riciclaggio volte ad ostacolare l’identificazione della
provenienza delittuosa del denaro ricevuto. L’attività in rassegna testimonia
il costante impegno della Guardia di Finanza nel delicato settore del contrasto
alle organizzazioni criminali di matrice ‘ndranghetistica, nonché alle
proiezioni ed infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici e nell’economia
legale in genere

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