Lacci di Domenico Starnone
di Letizia Bilella
“Ora mi è tutto chiaro. Hai deciso di tirarti fuori, di abbandonarci al nostro destino. Desideri una vita tua, per noi non c’è spazio. Desideri andare dove ti pare, vedere chi ti pare, realizzarti come ti pare. Vuoi lasciarti alle spalle il nostro mondo piccolo ed entrare con la tua nuova donna in quello grande.”
“Se tu te ne sei scordato, egregio signore, te lo ricordo io: sono tua moglie”. Si apre cosi la lettera che Vanda scrive al marito che se n’è andato di casa, lasciandola in preda a una tempesta di rabbia impotente e domande che non trovano risposta. Si sono sposati giovani all’inizio degli anni Sessanta, per desiderio di indipendenza, ma poi attorno a loro il mondo è cambiato, e ritrovarsi a trent’anni con una famiglia a carico è diventato un segno di arretratezza più che di autonomia. Perciò adesso lui se ne sta a Roma, innamorato della grazia lieve di una sconosciuta con cui i giorni sono sempre gioiosi, e lei a Napoli con i figli, a misurare l’estensione del silenzio e il crescere dell’estraneità. Niente è più radicale dell’abbandono, ma niente è più tenace di quei lacci invisibili che legano le persone le une alle altre.
Una storia emozionante e fortissima, il racconto di una fuga, di un ritorno, di tutti i fallimenti, quelli che ci sembrano insuperabili e quelli che ci fanno compagnia per una vita intera. Una storia consueta, la storia di un tradimento, un coniuge si innamora di un’altra e si stacca affettivamente e fisicamente dalla famiglia , lasciando la moglie e due figli in età adolescenziale. C’è poi il ritorno di lui in famiglia ‘sconfitto’, ma non pentito, costretto a un compromesso affettivo per poter convivere con la moglie, completamente ‘disamorata’, e i figli ormai troppo estranei e indipendenti per un padre fedifrago. Una lettura molto scorrevole e accattivante. Singolare la costruzione dei capitoli, con continui flash back che partono dal quotidiano dei due coniugi ormai invecchiati, costretti per scelta personale ad una convivenza senza amore. Buona la caratterizzazione psicologica dei protagonisti.
Una scrittura controllata, impeccabile, sorvegliatissima per raccontare la vicenda ordinaria e terribile di un matrimonio fondato sulla rivalsa e sulla autorepressione; ti colpisce dritto allo stomaco con la forza della semplice realtà quotidiana, terribile proprio perché comune. “Lacci” è la storia spietata e precisa del rumore profondo che fa un matrimonio quando si spezza, e della ferita che porta con sé anche quando si è deciso, con sofferenza, di ricominciare, di tornare ognuno al proprio posto: a casa, con i figli, con una moglie consumata dal dolore e dalla rabbia, che ha perso il suo splendore, e di cui lui non ricorda più nemmeno un minuto di splendore. C’è, in questo romanzo l’idea che a tenerci insieme a volte sia qualcosa di cattivo, di danneggiato, perfino di sadico, che non si riesce a perdonare e quindi non si cancella, ma ci accompagna. L’amore è un abbaglio. Poi scende la tenebra, e non rimaniamo che noi, a volte in coppia, a chiederci come mai si stia ancora insieme. Perché più forte dell’amore spesso è l’abitudine e la rabbia. Così i «Ti amo» vengono sostituiti dai «Me la pagherai cara». Questa è la vita, e anche la letteratura.
Domenico Starnone fa un’energica letteratura, scritte col piglio fermo dello scrittore che, giunto ai settant’anni sente di poter lasciare andare la penna sul terreno delle passioni. Ci sono Aldo e Vanda e la storia del loro matrimonio. Di come comincia negli anni sessanta, e, nonostante un gap culturale si «legano» nel sacro vincolo. Solo che, tempo al tempo, le differenza vengono fuori, e Aldo si stufa, comincia a guadagnare, incontra una donna più giovane e decide di mollare la sua famiglia; a questo punto che comincia il romanzo: con le lettere che Vanda spedisce al marito pretendendo che lui ritorni, e che impari a crescere i figli insieme a lei.