Tratta esseri umani, nigeriana testimone: “Volevo fuggire ma non potevo”

I finanzieri del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Palermo, in esito ad indagini delegate dalla Direzione distrettuale antimafia, sotto il coordinamento del procuratore capo Francesco Lo Voi, del procuratore aggiunto Maurizio Scalia e dei sostituti  Calogero Ferrara e Annamaria Picozzi , hanno eseguito, con la collaborazione della Stazione navale della Guardia di Finanza di Palermo, il fermo di tre soggetti di nazionalità nigeriana e un soggetto di nazionalità ghanese, tutti dediti ad attività criminose nell’ambito di un’associazione per delinquere transnazionale operante tra Africa (Nigeria), i paesi del Maghreb (soprattutto la Libia) e l’Italia (Lampedusa, Agrigento, Palermo, Reggio Calabria, Napoli e Padova) finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e alla tratta di esseri umani nonchè alla commissione di altri gravi reati contro la persona, in relazione al trattamento inumano cui erano sottoposti i migranti prima e durante il viaggio, e allo sfruttamento della prostituzione delle giovani donne nigeriane introdotte nel territorio italiano.

 “Le attività  investigative del Gico – spiegano le Fiamme gialle – hanno consentito di appurare che l’associazione per delinquere introduceva in territorio italiano cittadine nigeriane, al fine di indurle, una volta arrivate, a prestazioni sessuali sino a determinare il loro sfruttamento. In particolare, a fronte della ingannevole promessa di opportunità lavorative in Italia, erano indotte ad assumersi un debito di 30 mila euro, quale pagamento del viaggio e per l’avviamento al lavoro, approfittando, tra l’altro, della situazione di vulnerabilità psicologica determinata dalla celebrazione di un rito “Voodoo”, quale garanzia del debito”.

L’indagine della Guardia di Finanza è scaturita dal racconto di una giovane nigeriana di 26 anni che in Libia aveva intuito quale sarebbe stato il suo futuro: quello di prostituirsi per pagare il debito di 30 mila euro contratto con i trafficanti.

Una volta arrivata a Lampedusa e trasferita ad Agrigento, doveva contattare un connazionale che era il primo anello di una catena che avrebbe portato la donna a Reggio Calabria dove sarebbe stata costretta a prostituirsi.

 “In Libia – ha raccontato la testimone – mi sono trovata rinchiusa in una casa, assieme ad altre ragazze. Ho capito a cosa stavo andando incontro. Volevo fuggire, ma non potevo. Mi dissero che sarei dovuta andare in Sicilia. E così è stato. Appena arrivata con un barcone, però, sono fuggita”. Nel corso dell’operazione sono state liberate altre due nigeriane. Tutte e tre si trovano adesso in località protetta e hanno iniziato una nuova vita.

Per i finanzieri del Gico quella scoperta è una delle tante organizzazioni che operano nel territorio italiano. Una vera industria della prostituzione dove ci sono piccoli e grandi imprenditori del sesso senza scrupoli che, utilizzando come arma di ricatto anche riti voodoo, sfruttano le donne che arrivano in Italia sperando di potere trovare un lavoro.