Quando la comunità agrigentina nel terzo secolo ridisegnò la sua città

La ricostruzione ipotetica del teatro

All’incirca nel terzo secolo la comunità agrigentina ebbe la capacità di ridisegnare la città.

Anche a queste conclusioni porterebbero i recenti scavi per ritrovare il teatro di Akragas. Conclusioni ancora iniziali che sono state esternate in una conferenza stampa indetta dal Parco Archeologico della Valle dei templi presieduta dal direttore del Parco Giuseppe Parello.

In continuità con i due principali obiettivi di questa campagna – è stato dichiarato – ovvero   l’analisi   della   topografia dell’area e la definizione delle strutture dell’antico teatro, il primo mese di scavo è stato utile a fornire dati che hanno giovato tanto alla definizione di una datazione  per le  strutture  pertinenti  l’edificio, quanto alla sua posizione nella maglia urbana. A questo scopo sono aperti, allo stato attuale, cinque saggi di scavo, ma se ne programma l’apertura di nuovi. Specularmente a questo, da pochi giorni, si è aperto un saggio corrispondente nell’angolo sud ovest della cavea per verificare anche in quest’area la presenza di un analemma.

La mappa del teatro e degli scavi

Nell’area a Sud le prospezioni geoelettriche condotte da Marilena Cozzolino dell’Università del Molise, in collaborazione con Itabc-Cnr, hanno individuato al di sotto di un interro di circa 4 metri alcune anomalie che potrebbero essere ricondotte a strutture relative agli isolati urbani che si affacciavano sulla Plateia, di fronte al teatro. Le operazioni in quest’area sono piuttosto delicate, se si considera la profondità a cui sono previste tali strutture, considerando, inoltre che nello iato tra queste e il piano di campagna ci si aspettavano situazioni archeologiche più recenti, che stiamo documentando e cercando di chiarire.

Il teatro costituisce la quinta monumentale, nonché il punto di vista privilegiato e accuratamente studiato, con cui l’area  pubblica dell’agorà si affacciava verso la Valle dei templi. Questa grande piazza, la cui conformazione è prettamente rispondente ai criteri urbanistici dell’età ellenistica, ha subito diversi cambiamenti nel corso della vita dell’antica Agrigento e si configura come una delle più ampie del mondo antico con una superficie totale di circa 50.000 m2, uguagliando quella di Atene. L’agorà di Morgantina, ad esempio, ha un’estensione di circa 30.000 m2; un dato interessante di confronto perché Morgantina, pur se diversa nella composizione, costituisce un riferimento visivo vicino per comprendere la vastità di queste grandi realizzazioni scenografiche, che uniscono diversi edifici pubblici all’interno di un unico spazio pubblico, tra cui una posizione di rilievo è data al teatro.

Un canale per la raccolta delle acque

Contribuivano alla monumentalità di questa grande piazza agrigentina, i santuari che a Nord e a Ovest si   affacciavano   all’area   pubblica   e   che   ne accrescevano la monumentalità, vale a dire il sacello noto come Oratorio di Falaride e le strutture  delle fasi ellenistiche su cui si è successivamente  sviluppato il complesso del cosiddetto Tempio Romano. La definizione degli spazi di questa nuova città ellenistica, che emerge dalle ricerche che in accordo con il Parco della Valle, hanno portato avanti negli ultimi anni il Politecnico di Bari e l’Università di Catania, è senza dubbio l’acquisizione più significativa delle indagini condotte nell’area monumentale centrale della città, e contribuisce fattivamente all’arricchimento del patrimonio di conoscenze sulla città di Agrigento e, in più ampio respiro, sull’archeologia insulare.

Nella documentazione che è stata fornita alla stampa  si rileva  che  il teatro di Agrigento è stato dismesso relativamente presto. Nella zona nord, in summa cavea, la realizzazione di edifici, anche monumentali, tra le strutture delle concamerazioni di sostegno superiori sembra datarsi, ad una prima analisi del materiale, non oltre il III secolo d.C. e così anche negli strati di distruzione evidenziati nell’area meridionale. In questa fase è stato costruito un grande edificio a blocchi a Nord, di cui non si conosce la natura, solo parzialmente indagato, e un muro rettilineo in grandi blocchi che occupa la parte orientale della cavea e che costituisce il limite di una grande terrazza utilizzata ancora in epoca moderna. Queste strutture testimoniano la distruzione dell’edificio teatrale, ma non la fine della vocazione monumentale dell’area che ancora ospita edifici di notevole carattere architettonico. Le fasi successive sono forse quelle meno chiare. Gli strati di distruzione del tempio ellenistico romano, dall’altra parte dell’agorà, sembrano attestarsi sullo scorcio del IV secolo d.C.

Un’epoca in cui una popolazione ancora attiva ha continuato a vivere e rioccupare le strutture urbane di età precedenti oramai defunzionalizzate. Lo scavo del teatro mostra come il fenomeno dell’abbandono non sia coevo in tutta la città, ma abbia cronologie e modalità diverse. Quello che sembra emergere da uno studio ancora allo stato iniziale è che in questa fase, molto difficile per l’archeologia siciliana, la comunità agrigentina ridisegna la propria città secondo sistemi che si discostano ormai del tutto dagli schemi urbani che dalla sua fondazione hanno costituito lo scheletro della città anche in età ellenistica e romana.