Cronaca

Frodi allo Stato: 7 arresti, sequestri per 43 mln (vd)

La Guardia di finanza ha scoperto e smantellato un’organizzazione che attraverso una rete di società frodava lo Stato sugli appalti nel Polo di Augusta, in provincia di Siracusa. I finanzieri di Augusta, su disposizione della procura della Repubblica di Siracusa, hanno eseguito un’ordinanza emessa dal Gip di Siracusa con cui sono state disposte misure restrittive […]

Pubblicato 4 anni fa

La Guardia
di finanza ha scoperto e smantellato un’organizzazione che attraverso una rete
di società frodava lo Stato sugli appalti nel Polo di Augusta, in provincia di
Siracusa.

I
finanzieri di Augusta, su disposizione della procura della Repubblica di
Siracusa, hanno eseguito un’ordinanza emessa dal Gip di Siracusa con cui sono
state disposte misure restrittive a carico di sette persone (2 custodie in
carcere, 3 ai domiciliari, un obbligo di dimora e un divieto di espatrio),
provvedimenti interdittivi a vario titolo per altre 5 persone e sequestri,
diretti o per equivalente, per oltre 43 milioni di euro nei confronti dei
dodici indagati. Sequestri anche nei confronti di società, in parte
destinatarie del provento illecito.

Il
provvedimento chiude ampie indagini di natura economico – finanziaria che hanno
portato alla luce un’evasione da 43 milioni e 912mila euro. Le frodi hanno
anche portato, su richiesta del Pm titolare del fascicolo, al fallimento 5
società. Le investigazioni sono partite da una verifica fiscale nei confronti
di una delle società operanti nell’indotto delle Grandi committenti, che
versava in una situazione di dissesto. Dall’attività sono emersi elementi che
hanno spinto i militari ad approfondire i controlli presso le imprese che erano
subentrate nelle commesse dopo che la prima società, improvvisamente, aveva
cessato di operare. Le Fiamme gialle hanno scoperto che le società, parte delle
quali aderenti a un Consorzio, facevano capo a una nota coppia di imprenditori
megaresi e costituivano un vero e proprio sistema di ‘scatole vuote’ che, in
modo programmato, ha ‘assorbito’, non onorandolo, il carico fiscale e
contributivo dell’attività nel suo complesso. Tutto questo grazie alla
compiacenza di persone con precisi ruoli e di uno staff amministrativo formato
anche da prestanome e faccendieri.

Il
meccanismo delle frodi era sempre lo stesso: il Consorzio, nel tempo manutenuto
‘pulito’ e gestito sempre dagli stessi coniugi, si aggiudicava appalti a prezzo
ribassato per la manutenzione di impianti del comprensorio industriale di
Priolo/Melilli. Il prezzo di aggiudicazione risultava competitivo perché, di
fatto, non teneva conto dell’importo dovuto allo Stato, a titolo d’imposta o di
contributo previdenziale. Il lavoro così appaltato veniva poi fatto svolgere
dalle consorziate di turno che nel tempo, però, si susseguivano. Così, quando
una società aveva ormai raggiunto debiti tributari di considerevole importo,
veniva sostituita con un’altra impresa di nuova costituzione, che si avvaleva
sempre della stessa maestranza e degli stessi mezzi.

L’indagine
ha reso evidente che le società erano tutte riconducibili all’unica famiglia di
imprenditori, che gestivano direttamente personale, appalti e rapporti con le
banche dell’intera rete societaria. I vertici dell’organizzazione, tramite
canali social, dettavano disposizioni in modo criptico, nel timore di essere
‘ascoltati’ e sebbene queste comunicazioni, via Whatsapp o Skype, a loro
avviso, non fossero intercettabili, comunque pretendevano che non venisse mai
fatto alcun riferimento alla loro persona.

Nel
corso dell’inchiesta è emerso anche che era stata costituita a Malta una
società di diritto locale allo scopo di emettere, dall’estero, fatture per
operazioni inesistenti esclusivamente nei confronti di una delle società
fallite che, pagando i falsi documenti, svuotava le proprie casse, per circa 3
milioni di euro, a esclusivo vantaggio della coppia di imprenditori.

L’attività
dell’organizzazione smantellata, secondo gli inquirenti, era in grado di
alterare interi equilibri di sistema, come quello, definito dagli investigatori
“assai delicato”, che caratterizza il Polo petrolchimico della
provincia di Siracusa.

Persone
indigenti che frequentavano la mensa della Caritas venivano arruolate, grazie a
un faccendiere di fiducia, come prestanome in cambio di piccole cifre – da 50 a
200 euro -: a questi venivano intestate quote societarie o cariche di società,
alcune delle quali risultano avere movimentato volumi d’affari di milioni di
euro. E’ quanto emerge dall’indagine della Guardia di finanza, coordinata dalla
Procura di Siracusa, su una maxi frode fiscale nel Polo industriale di Augusta.
Sono dodici le persone indagate per le quali sono stati emessi sequestri,
diretti o per equivalente, per 43 milioni 912 mila di euro, totale delle
evasioni. Le indagini sono scattate nel 2017 da una verifica fiscale. In
carcere sono finiti i coniugi Isabella Armenia e Stefano Bele, considerati i
promotori dell’organizzazione, e ai domiciliari Marilina Campis, Paola Garofalo
e Michele Fisicaro. Un obbligo di dimora per Daniele Parrino e un divieto di
espatrio per Massimo Camizzi, considerato il factotum. Provvedimenti
interdittivi a vario titolo sono stati emessi nei confronti del commercialista
Luigino Longo (divieto temporaneo dell’esercizio della professione); Angelo
Tringa, Giovanni Platania, Roberto Giardina, Gesualdo Buono (divieto temporaneo
di assumere cariche in persone giuridiche).

Secondo
la Guardia di finanza le frodi hanno anche portato, su richiesta della Procura
di Siracusa, al fallimento di alcune società: Nms Srl, Gap Srl, Cipis Srl, Clai
Siracusana Srl, Mbf Srl.

Secondo
gli investigatori la coppia di imprenditori aveva costituito un Consorzio di
imprese che si aggiudicava appalti a prezzo ribassato per la manutenzione di
impianti delle grandi aziende Lukoil, Versalis della zona industriale.

Il
prezzo di aggiudicazione era competitivo perché il Consorzio non pagava imposte
e contributi previdenziali. Il lavoro veniva fatto svolgere dalle consorziate di
turno e quando una società aveva raggiunto debiti tributari di considerevole
importo veniva sostituita con un’altra impresa che utilizzava gli stessi operai
e gli stessi mezzi. Tramite canali “social” venivano dettate
disposizioni in modo criptico, nel timore di essere “ascoltati”
(whatsapp, skype).

Era
stata costituita a Malta una società di diritto locale allo scopo di emettere,
dall’estero, fatture per operazioni inesistenti nei confronti di una delle
società fallite che svuotava le proprie casse, per circa 3 milioni di euro, a
esclusivo vantaggio della coppia.

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