E se la Sagra del Mandorlo non fosse poi così male? Storia di un ragionamento “al contrario”

La Sagra del mandorlo in fiore, è bene dirlo da subito, non ha mai attirato le mie personali simpatie.
Sarà per una questione anagrafica che, inevitabilmente, ha fatto sì che le migliori edizioni fossero quelle del passato a discapito delle ultime; o magari, questo mio “mal di pancia” è dovuto proprio alla pochezza e all’inconsistenza delle ultime edizioni: una kermesse senza arte né parte, senza un senso, con una evidente mancanza di strategia, una completa disattenzione ai bisogni del turista ma, soprattutto, un’approssimazione imbarazzante che ha, giustamente oserei dire, sollevato questioni sullo svolgimento stesso della manifestazione.

Un momento dell’edizione di quest’anno

Questo giornale, in passato, si è occupato di Sagra e di tutto quello che ne gravitava intorno: dagli scandali politici, alle competenze inadeguate, passando per lo spreco di denaro. Tutti aspetti meritevoli di attenzione sicuramente ma che, almeno in queste righe, proveremo a mettere da parte. Il mio ragionamento, questa volta, vuole essere controtendenza. “Con questi soldi avremmo potuto fare altro” oppure “Era meglio se si fosse fatto in questo modo piuttosto che in un altro”.

Partendo proprio da queste semplici domande inizia la mia riflessione, allontanandomi di parecchio da suddette osservazioni per, invece, sottoporne delle altre.

Per questo, tralasciando almeno per il momento l’aspetto economico e tutto ciò che ne deriva, ho voluto appositamente porre l’attenzione sui contenuti della Sagra del mandorlo in fiore: cosa offre? Cosa c’è di diverso rispetto agli altri anni? Dunque, sorvolando l’aspetto critico che ben è interpretato dalla grande maggioranza dei miei concittadini, il mio desiderio è quello di sottolineare i punti di forza della kermesse, supportando tesi non immediatamente condivisibili, e vedere l’edizione che si sta svolgendo come un netto miglioramento delle condizioni precedenti.

IL CIBOLa Sagra del mandorlo in fiore nasce, per volontà del Conte Gaetani, nel 1934. Forse rappresenta il momento più alto di celebrazione della mandorla intesa come guscio della vita, nascita e resurrezione. Alberi di mandorlo che, in questo periodo, si schiudono regalando uno scorcio paesaggistico che molti ci invidiano. Dunque, come logica delle cose impone, il cibo rappresenta un importante mezzo per effettuare connessioni, condivisioni, momenti di fruizione e aggregazione. Da qui, il primo punto in favore dell’edizione di quest’anno: il merito, a mio modestissimo parere, comincia con il riportare al centro del dibattito la caratteristica peculiare del prodotto in questione: la mandorla, appunto. Incentrare il dibattito, attraverso numerose iniziative collaterali, sulla mandorla e sul cibo. In passato, questo aspetto è stato troppe volte sottovalutato, non capito, non approfondito. In questa edizione, anche grazie alla frammentazione dell’evento, è possibile dedicare ampi spazi alla mandorla e, aggiungo io, in maniera intelligente: concorsi di cucina, cooking show, partecipazione e coinvolgimenti delle attività culinarie del territorio e dei commercianti, momenti di condivisione e di conoscenza dei prodotti tipici, slow food e, infine, la riproposizione dell’evento culinario, che prenderà il via il prossimo 6 marzo, della MandorlaFest: evento celebrativo della mandorla con convegni di studio, momenti espositivi dei semilavorati e prodotti finiti a base di mandorla, degustazioni, laboratori del gusto con lavorazione della mandorla.

Mostra di Leo Matiz su Frida Kahlo

CULTURA. “ A cosa serve l’arte? La sua importanza è fin troppo presunta per essere spiegata e il suo valore è ritenuto solo una questione di senso comune: in ciò risiede l’errore.” In maniera del tutto confidenziale, vi dirò, che questo spunto riflessivo vede il suo inizio proprio da questo rigo scritto da Marilù Oliva, professoressa di lettere, per l’Huffington Post. Qualche notte addietro, impegnato nella mia attività di letture dal mondo, mi colpì anche più del dovuto questo inizio di articolo. Vi starete domandando “Ma cosa c’entra?” ma, analizzate bene le parole qui sopra. Tutto questo per sottolineare e ribadire tutta la mia gratitudine a chi di dovere per aver riportato un altro elemento, secondo me centrale, al centro della kermesse: la cultura. L’intelligenza mostrata finora, e me ne frego chi sia il responsabile politico di turno, è stata proprio quella di inserire all’interno del palinsesto momento culturali davvero alti di cui, francamente, non ho memoria nelle edizioni passate: e dunque, lunga vita al Salvator Mundi in esposizione nella chiesa di Santo Spirito; lunga vita alla mostra di Leo Matiz su Frida Kahlo; lunga vita all’esposizione dei carretti siciliani lavorati a mano, delle rappresentazioni dei pupi da parte di una delle famiglie più antiche in tal senso; lunga vita, per chi non lo sapesse, anche ai dervisci rotanti: chi sono? Sono quegli uomini in tunica bianca, che danzano con delle piroette attorno al maestro, per coniugare arte e spiritualità. Sempre per chi non lo sapesse, i dervisci rotanti sono Patrimonio culturale dell’umanità dall’Unesco. Insomma, un riscontro positivo in tal senso che ha fatto “strage” soprattutto ,con mia grande sorpresa in positivo, nella fascia di miei coetanei. Tanta ma tanta gente entusiasta.

La tensostruttura di Agrigento

PALAMANDORLO. Prima di analizzare anche questo aspetto, per me importante per la chiave di lettura che intendo proporre, vorrei chiarire alcune semplici cose. Stabiliamo fin da subito, e questo lo dico per chi ogni anno crede di aver scoperto l’acqua calda, che sarebbe stato meglio il “PalaCongressi” e che la tensostruttura è di una bruttezza immonda. Appurati questi due aspetti basilari, bisogna fare il conto sul piano pratico e non teorico. Indubbiamente la situazione che negli ultimi giorni si è creata intorno alla funzionalità della struttura ha avuto grande rilevanza. Il fatto che il PalaMandorlo, voluto dall’amministrazione comunale, non abbia soddisfatto le richieste della Commissione Pubblico Spettacolo e quindi risultando inagibile per gli eventi organizzati dal comune stesso, ha il sapore di un clamoroso autogol. Ma, sorvolando almeno per il momento questo punto non intendendo addentrarsi nella ricerca delle responsabilità dirette, la domanda che mi pongo è una: ma davvero è stata una scelta così scellerata installare il tendone in pieno centro cittadino? E’ da classificare questa come una delle scelte poco felici in ottica funzionalità Sagra? La risposta ad entrambi gli interrogativi, per me, è no. Pensiamoci bene. Una struttura sì brutta come non mai ma inserita in pieno centro cittadino, in una delle zone più trafficate di Agrigento, a ridosso della più importante zona commerciale (naturale) della città. Una scelta che ha permesso, bastava essere presenti in uno di questi fine settimana, di ripopolare il centro cittadino, di permettere alle persone di fruire in Via Atenea e di spendere soldini (se solo i commercianti non avessero chiuso le proprie attività) ma, soprattutto, di vedere tanta ma tanta gente entusiasta. Famiglie intere che hanno popolato il centro, hanno preso parte agli spettacoli all’interno del PalaMandorlo facendo risultare il sold out.

In conclusione, sperando di non aver forzato troppo la mano, mi piacerebbe che il senso di queste riga possano essere comprese appieno. La Sagra attuale del Mandorlo in fiore, seppur abbia bisogno di migliorie soprattutto in termini di prontezza, efficienza, disponibilità e fruizione dei servizi, deve essere presa per quella che, a mio parere, rappresenta hic et nunc: non l’ennesima occasione gettata al vento bensì un’opportunità da cui far ripartire questa macchina ingolfata per troppo tempo. Tutto è migliorabile, tutto perfettibile. Bisogna che ognuno faccia il suo.

E, proprio per questo, mi sono permesso di “rubare” il finale di uno degli editoriali più interessanti apparsi in questo giornale, scritto dalla frenetica penna di Giuseppe Riccobene: ”Ad ogni livello politico, amministrativo e culturale, ognuno svolga il suo ruolo, sappia assumersi le responsabilità , sappia progettare e programmare il futuro di una terra che merita molto di più. Senza delegare ad altri ciò che toccherebbe fare a ciascuno di noi”.