Blitz “Black cat”, colpo a Cosa nostra: arrestate 33 persone. Legami con i clan di Ribera e Favara (ft e vd)

Nuovo colpo ai clan mafiosi del palermitano, dove i Carabinieri hanno arrestato all’alba di oggi 33 persone nel contesto di un’operazione denominata “Black cat”.

Gli arresti sono stati eseguiti in tutta la provincia di Palermo, dai Carabinieri della Compagnia di Termini Imerese. Ventiquattro persone sono finite in carcere e altre nove sono ai domiciliari. Le ordinanze sono state emesse dal Gip presso il Tribunale di Palermo, Fabrizio Molinari, che ha accolto le richieste del Procuratore capo di Palermo, Francesco Lo Voi, nei confronti di altrettante persone accusate, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, nonché di estorsione, furto, rapina, illecita detenzione di armi, intestazione fittizia di beni e trasferimento fraudolento di valori, reati aggravati dall’agevolazione dell’attività del sodalizio mafioso.

In carcere, sono finiti Diego Rinella, 56 anni di Palermo, Michele Modica, 52 anni di Termini Imerese, Giuseppe Ingrao, 59 anni di Termini Imerese, Antonino Vallelunga, 34 anni di Termini Imerese, Salvatore Palmisano, 52 anni di Termini Imerese, Massimiliano Restivo, 43 anni di Termini Imerese, Mario D’Amico, 53 anni di Termini Imerese, Antonino Fardella, 38 anni di Termini Imerese, Raimondo Virone, 50 anni di Termini Imerese, Diego Guzzino, 68 anni di Caccamo, Stefano Contino, 72 anni di Favara, Gandolfo Maria Interbartolo, 62 anni di Cerda, Giovanni Di Marco, 55 anni Cerda, Gaetano Giovanni Muscarella, 46 anni Termini Imerese, Giacomo Li Destri, 50 anni di Caltavuturo, Mariano Parisi, 45 anni di Palermo, Vincenzo Sparacio, 27 anni, Palermo, Vincenzo Vassallo, 40 anni, di Palermo, Salvatore Abbadessa, 54 anni di Termini Imerese, Francesco Bonomo, 58 anni di San Mauro Castelverde, Antonio Maria Scola, 48 anni di Polizzi Generosa, Antonio Giovanni Maranto, 52 anni di Polizzi Generosa, Angelo Schittino, 50 anni di Cefalù, Pietro Termini di 32 anni, di Polizzi Generosa. Ai domiciliari sono stati posti: Giuseppe Rio, 28 anni di Palermo, Vincenzo Civiletto, 66 anni di Cerda, Francesco Saitta, 48 anni Casteldi Iudica, Carmelo Russo 42 anni Castel di Iudica, Sebastiano Sudano, 37 anni Raddusa, Vincenzo Calderaro, 57 anni di Caccamo, Samuele Schittino, 80 anni di Lascari, Antonino Marino, 26 anni di Termini Imerese.

Le indagini coordinate dal procuratore aggiunto, Leonardo Agueci, e dai pm Sergio Demontis, Alessandro Picchi, Siro De Flammineis, Bruno Brucoli, Gaspare Spedale ed Ennio Petrigni, “hanno fornito un accurato quadro di assoluta attualità, consentendo di definire gli interessi di cosa nostra nella parte orientale della provincia di Palermo – a partire dal territorio di Bagheria sino ad arrivare ai confini delle province di Catania e Messina – e di ricostruire in maniera chiara e  dettagliata i nuovi organigrammi dei due storici mandamenti mafiosi di Trabia e San Mauro Castelverde, con l’individuazione dei reggenti e degli affiliati”.

Più in particolare, “è stato documentato il ruolo di vertice ricoperto per il mandamento di Trabia, da Diego Rinella, affiancato da Michele Modica, capo famiglia di Trabia, nella gestione operativa degli affari illeciti e nei rapporti con le dipendenti famiglie mafiose di Cerda, Caccamo e Termini Imerese – dicono gli investigatori – per il mandamento di San Mauro Castelverde, da Francesco Bonomo, collaborato nella conduzione dei traffici delittuosi da altri componenti dell’associazione, incaricati, tra l’altro, del materiale trasporto di pizzini e messaggi verbali a reggenti e sodali delle famiglie mafiose di San Mauro Castelverde, Polizzi Generosa e Lascari”.

L’operazione, frutto di prolungati sforzi investigativi, ha dunque dimostrato la progressiva riorganizzazione territoriale dell’associazione mafiosa in una vasta area della provincia, evidenziando come, coerentemente con il generale andamento di cosa nostra, i richiamati mandamenti abbiano dovuto rimodularsi a seguito delle operazioni di polizia condotte negli ultimi anni (ultima in ordine di tempo, quella convenzionalmente denominata “Camaleonte III” del 2011), che ne hanno decimato le fila, soprattutto tra gli elementi di vertice.

Sono stati dunque riscontrati tutti gli elementi tipicamente caratterizzanti cosa nostra: lo sfruttamento della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire la gestione ed il controllo del territorio e delle attività economiche.

Il dovere di sostegno imprescindibile nei confronti delle famiglie degli affiliati reclusi, necessario al mantenimento del vincolo di fedeltà.

Il controllo del territorio di pertinenza dell’intero mandamento, espresso mediante la pressione ingenerata dalla presenza manifesta degli affiliati per la gestione pressoché totale, diretta ed indiretta, di quasi tutte le attività criminali ricadenti in quell’area: “Il giro, l’incasso, il guadagno, tutta una cosa associata a tutti questi discorsi”.

La propensione per un modello operativo improntato prevalentemente alla “sommersione”, al fine di limitare quanto più possibile il ricorso ad azioni eclatanti suscettibile di attirare l’attenzione delle Forze dell’ordine.

Altro dato significativo emerso nel corso dell’indagine è l’esatta definizione della demarcazione territoriale dei mandamenti di Trabia e San Mauro Castelverde, utile a comprendere appieno l’area di competenza di ciascuna articolazione, specie in relazione alla consumazione delle attività estorsive.

Principale attività illecita esercitata dall’organizzazione mafiosa permane quella estorsiva in danno delle attività economiche presenti sul territorio, con particolare riguardo alle imprese aggiudicatarie di appalti pubblici, cui si associano le intimidazioni ed i danneggiamenti mediante incendio – atti strumentali per il raggiungimento dell’obiettivo individuato – da realizzare secondo un consolidato “protocollo operativo”, così enucleabile: individuazione degli imprenditori aggiudicatari dei vari appalti o intenzionati ad avviare nuove attività economiche di rilievo nell’area.

Avvio di interlocuzioni con le famiglie mafiose dei paesi di origine/residenza delle possibili vittime (laddove gli imprenditori provenissero da località non rientranti nel territorio del mandamento di riferimento), in modo da indurle – mediante le necessarie pressioni – a presentarsi spontaneamente dal referente di zona (in relazione all’ubicazione dei cantieri) per provvedere alla relativa “messa a posto”;

Ricorso ad intimidazioni dirette, mediante la realizzazione di furti o danneggiamenti, in presenza di soggetti recalcitranti, per ammorbidirne le posizioni.

Durante tutto lo sviluppo delle indagini è stato riscontrato che la pressionemafiosa sul tessuto produttivo nell’area orientale della provincia palermitana ha avuto un andamento pressoché costante, ingenerando un clima di paura tale da scoraggiare l’azione di denuncia da parte degli operatori economici.

In tale quadro, non si può trascurare quanto emerso nel corso delle attività investigative circa la disponibilità di armi da parte degli affiliati.

Per quanto attiene ai reati fine, un particolare focus deve essere rivolto, come detto in precedenza, alle estorsioni: nella misura cautelare in argomento ne sono state contestate complessivamente quattro nei confronti di altrettanti imprenditori. Di rilievo, in particolare, le estorsioni compiute in danno di: un imprenditore titolare di concessioni edilizie per la costruzione di alcune villette in contrada “Sant’Onofrio” di Trabia.

Un’impresa edile impegnata nei lavori per la realizzazione di un istituto scolastico a Termini Imerese. Un’impresa, aggiudicataria dei lavori di riqualificazione dell’ex cinema “Trinacria” del comune di Polizzi Generosa. Una ditta edile aggiudicataria di un appalto pubblico, per un importo complessivo di circa trecentomila euro, per la ristrutturazione di un immobile denominato “Ex Carcere”, nel comune di Castelbuono.

Diversamente, allorquando le vittime si sono mostrate non inclini ad assoggettarsi alle pressioni mafiose, gli affiliati hanno immediatamente riaffermato il potere sul territorio dell’associazione ricorrendo alle vie di fatto: questa è la chiave di lettura di quanto accaduto nel maggio 2012, nella contrada ”Granza” di Sclafani Bagni, allorquando venivano incendiati e completamente distrutti quattro trattori e un bobcat parcheggiati all’interno di uno dei capannoni dell’azienda di proprietà di due imprenditori agricoli.

In questa cornice di intimidazione si inquadra anche il tentativo di condizionare le scelte dell’Amministrazione comunale di Cerda. Il 30 ottobre 2012, a Cerda, vengono incendiate le autovetture nella disponibilità dell’allora sindaco Andrea Mendola. Le attività tecniche di intercettazione hanno consentito di ricostruire la dinamica di quei fatti delittuosi, evidenziando le responsabilità della locale famiglia mafiosa, che imputava al sindaco di non essere “vicino” alle istanze della criminalità organizzata.

Con riguardo alla gestione complessiva dell’attività d’indagine, alle difficoltà correlate all’ambiente operativo particolarmente ostico, si unisce l’atteggiamento mostrato dagli affiliati, i quali, consapevoli dei rischi connessi con la presenza ed il controllo delle forze di polizia, hanno posto in essere ogni possibile stratagemma per tentare di eludere le attività investigative.

Emblematico lo stratagemma di Gandolfo Interbartolo che, al fine di trattare argomenti delicati con gli altri affiliati, sfruttava la sua posizione di geometra per organizzare incontri in aperta campagna (o nello studio tecnico ove espletava la sua professione), simulando di dover effettuare sopralluoghi sugli appezzamenti di terreno. Ma anche la pianificazione di incontri in luoghi affollati ove minore poteva essere il rischio di essere notati dalle Forze dell’ordine.

Sotto il profilo del contrasto al circuito economico illegale ed alle fonti di illecito profitto, si segnala il sequestro preventivo dei beni, intestati ai familiari dei due capi mandamento, ossia Francesco Bonomo e Diego Rinella, il cui valore ammonta a circa 1,5 milioni di euro.
Si documentava, infatti, come Francesco Bonomo, fosse in concreto il gestore di fatto della società “Fratelli Bonomo sas di Bonomo Marianna” , con sede in contrada Borrello di San Mauro Castelverde, avendo la piena direzione sotto il profilo decisionale, operativo, patrimoniale e manageriale, senza peraltro ricoprire alcuna carica e/o qualifica, né tantomeno risultarne formalmente dipendente. Bonomo è ritenuto uomo di collegamento fra Palermo e Agrigento. E’ infatti imparentato tramite la moglie (Maura Farinella) con la famiglia Capizzi di Villagrazia di Palermo e ha rapporti consolidati con la cosca di Ribera.

Emergeva parimente che Diego Rinella e Giuseppe Ingrao avessero attribuito formalmente a Santina Ingrao, figlia di Giuseppe, la titolarità dell’impresa individuale Giuseppe Rinella con sede in contrada “San Leonardo” di Termini Imerese, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali.