Blitz Kerkent, ferocia nuovo boss Agrigento: “Ucciderò bimbi”

L’aggressione col cacciavite

L’operazione “Kerkent” della Dia ha messo in risalto la figura criminale di Antonio Massimino, (arrestato nel 1999 e nel 2005 nell’ambito delle operazioni “Akragas” e “San Calogero”), che, una volta scarcerato è arrivato ai vertici della famiglia mafiosa di Agrigento/Villaseta per diretta investitura dal boss agrigentino Cesare Lombardozzi, poi deceduto.

Sin dalla scarcerazione, avvenuta nel gennaio 2015, ha rilanciato gli aspetti operativi e quelli logistici di un’intensa attività di traffico di stupefacenti, attraverso uno strutturato gruppo criminale armato, attivo nel narcotraffico, composto, fra gli altri, da Valentino Messina, fratello di Gerlandino, considerato ex vice capo provinciale di Cosa nostra per la provincia di Agrigento. Particolarmente violento, Massimino è arrivato a minacciare di morte, con un cacciavite, un affiliato, prospettando anche l’eventualità di uccidere bambini pur di affermare la propria autorevolezza criminale.

In un’occasione ha sequestrato un 38enne accusato di truffa ai danni di un affiliato commerciante d’auto – in relazione all’acquisto di una vettura con un assegno scoperto – e ha costretto la convivente 34enne, sotto la minaccia di armi, a subire ripetuti palpeggiamenti nelle parti intime.

L’operazione ha avuto un impulso investigativo grazie alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Quaranta di Favara.

L’operazione Kerkent, che è stata avviata nel maggio del 2015 e coordinata dalla Procura Distrettuale Antimafia di Palermo (Procuratore Francesco Lo Voi, Procuratore aggiunto Paolo Guido e sostituti Alessia Sinatra, Claudio Camilleri e Pierangelo Padova), ha permesso di disarticolare un’associazione per delinquere con base operativa ad Agrigento e ramificazioni nel palermitano ed in Calabria, capeggiata da Antonio Massimino, considerato reggente della famiglia mafiosa di Agrigento-Villaseta.

Emerge inoltre che  i locali adibiti ad un autolavaggio in uso a  Giuseppe Messina “fossero divenuti base operativa per il gruppo criminale, sede logistica per lo smistamento dello stupefacente, luogo di incontro e di riunioni tra gli appartenenti all’organizzazione, il cui assiduo monitoraggio ha consentito di definirne dinamiche e dimensioni”.

Dalle indagini è emerso che “l’approvvigionamento di sostanza stupefacente è avvenuto con abitualità e da diversificati canali, quali quello: calabrese, per il tramite di un broker agrigentino; palermitano, espressione della cosca”della Noce”; di Palma di Montechiaro, ascrivibile ad un gruppo di matrice Stiddara”.