Fermo Massimino, i retroscena: una “soffiata” lo ha informato di imminente cattura e stava per scappare all’estero

Stava tentando di scappare, lasciare Agrigento e andare all’estero, probabilmente in Germania insieme alla famiglia.

E stava tentando di vendere tutto ciò che era nella sua disponibilità attraverso la ditta “Syrydrynk Srl unipersonale”, con  sede  legale  ad  Agrigento  in Viale  Monserrato l4,  esercente  l’attività  di  commercio al minuto al posto fisso di bevande.

Antonio Massimino, 48 anni, commerciante ma soprattutto ritenuto dagli investigatori il nuovo boss della mafia di Agrigento, fermato la notte scorsa (insieme al suo fido subalterno Liborio Militello, 49 anni, muratore) dal personale della Direzione investigativa antimafia di Agrigento guidato da Roberto Cilona, aveva ricevuto una soffiata lo scorso 4 novembre.

E da quel momento è cominciata la sua forsennata corsa verso la fuga all’estero perché temeva di essere catturato.

E probabilmente aveva anche ragione tenuto conto che il fermo  – disposto in fretta e in furia in dal procuratore aggiunto Maurizio Scalia, e dai pm Claudio Camilleri e Alessia Sinatra della distrettuale antimafia di Palermo, – ha dimostrato che da tempo Massimino era sotto osservazione ed intercettato e legittima l’ipotesi di una inchiesta ben più consistente rispetto a questa per estorsione che ha portato in carcere il preteso reggente della famiglia mafiosa di Agrigento – Villaseta.

Dunque, gli investigatori hanno dovuto accelerare ogni attività e renderla praticamente nota all’esterno pur di non far fuggire all’estero Massimino il quale nel corso di una telefonata alla moglie intercettata lo scorso quattro novembre le chiede, anzi ordina, di preparare armi e bagagli e tenersi pronta per una immediata partenza verso la Germania (o Belgio).

Una seconda intercettazione, sempre del quattro novembre, svela il piano di Massimino di vendere una grossa partita di bevande, praticamente tutta la riserva della sua ditta “Syrydrynk Srl unipersonale”, ad un commerciante agrigentino del settore al fine di fare subito soldi e tagliare la corda.

Una terza telefonata sempre il 4 novembre svela il piano di Massimino di procurarsi la documentazione idonea per varcare la frontiera, incaricando contemporaneamente la moglie di premurarsi di sapere le norme vigenti in tema di estradizione negli stati di Germania e Belgio.

Ecco svelate le ragioni del fermo di Massimino (e Militello) che lascia presagire una ben più corposa operazione di Polizia peraltro “soffiata” al pluripregiudicato agrigentino che certamente ha originato parallela ed altra inchiesta per scoprire l’identità della talpa.

Restano in piedi, naturalmente, tutte le accuse riguardanti l’estorsione tentata ai danni di un imprenditore agrigentino che era stata spiegata stamani da un comunicato ufficiale della Dia in questo modo: “Entrambi sono ritenuti responsabili di tre tentativi di estorsione aggravata, messi a segno tra l’ottobre del 2015 e l’aprile 2016, ai danni di un imprenditore edile agrigentino impegnato nella realizzazione di una palazzina nella città dei templi.

Gli episodi estorsivi, concretizzatisi in richieste di denaro (85 mila euro) e in assunzioni di personale, sarebbero avvenuti presso il cantiere edile e gli uffici dell’impresa finita nel mirino degli indagati, che avrebbero agito avvalendosi del cosiddetto metodo mafioso”.

Emissario del boss è stato Liborio Militello che aveva contatto personalmente i titolari dell’impresa chiedendo il pizzo. Ricevendo un netto rifiuto, Militello avrebbe reagito così: “Mi manda il principale di Villaseta, quello dell’acqua, lo vuole capire che mi deve dare i soldi altrimenti faccio venire il principale di Villaseta”.

L’imprenditore ha risposto ancora picche, ha preso il cellullare ha chiamato il 113. E Militello ha aggiunto: “lasci perdere, ma non finisce qui”.

E Massimino, effettivamente, è intervenuto contattando il figlio del titolare della ditta ed incontrandolo davanti un bar sito proprio di fronte il Tribunale di Agrigento ed al quale ha detto: “Mi rivolgo a te non per quello che rappresento ma da amico…”.

Tutto registrato e finito agli atti dell’inchiesta.

I due fermati sono stati condotti nella casa circondariale di Agrigento in attesa di essere interrogati dal Gip chiamato a convalidare o meno il provvedimento giudiziario.