Mafia, 18 anni di carcere per il boss Leo Sutera; 3 anni ai fiancheggiatori

Diciotto anni di carcere per Leo Sutera, boss di Sambuca di Sicilia processato oggi (rito abbreviato) dal Gup del Tribunale di Palermo, Marcella Ferrara.

Una mazzata per “u profissuri”, ritenuto fedelissimo del super-latitante Matteo Messina Denaro, che venne fermato dalla Squadra mobile di Agrigento, guidata da Giovanni Minardi e dai colleghi palermitani comandati da Rodolfo Ruperti, lo scorso 29 ottobre al termine di una lunga attività di indagine.

Condannati anche i suoi fiancheggiatori, per favoreggiamento aggravato dall’articolo 7, tutti alla pena di tre anni: la fioraia di Sambuca di Sicilia Maria Salvato, 45 anni, l’autista di Sutera, Vito Vaccaro, 57 anni, e l’imprenditore Giuseppe Tabone.

Il provvedimento di fermo, emesso dal sostituto procuratore della Dda Claudio Camilleri, si rese necessario per la possibilità di fuga dello stesso Sutera che, registrato da una microspia, avrebbe paventato al suo autista la possibilità di spostarsi verso l’est dell’Europa.

Nel corso del processo definito oggi, il pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, Alessia Sinatra aveva chiesto la condanna a 20 anni per Sutera (difeso dagli avvocati Carlo Ferracane e Celestino Cardinale) e tre anni ciascuno per Maria Salvato (difeso dagli avvocati Sergio Vaccaro e Calogera Abruzzo); Giuseppe Tabone (difeso dagli avvocati Ignazio Fiore e Mauro Tirnetta); Vito Vaccaro (difeso dall’avvocato Giovanni Vaccaro).

Praticamente tutte accolte le richieste della pubblica accusa e va evidenziato anche i 18 anni di carcere sono stati inflitti in continuazione con le precedenti condanne subite da Leo Sutera e con l’esclusione di due aggravanti).

Sutera rispondeva di associazione per delinquere di tipo mafioso.

Il capomafia sambucese, che ha fatto parte della cerchia ristretta dei soggetti in contatto con il latitante trapanese Matteo Messina Denaro, è stato al centro di un’indagine iniziata nel 2015 «che ha consentito di ricostruire gli interessi criminali di Sutera e le responsabilità dei suoi sodali. Sutera avrebbe impartito direttive attraverso la costante partecipazione a riunioni ed incontri con gli altri associati e presieduto a tutte le relative attività ed affari illeciti, curando la gestione delle interferenze nella realizzazione delle opere oggetto di appalti ed opere pubbliche, nonché assicurando il collegando con altre articolazioni territoriali di Cosa nostra.

Il boss di Sambuca di Sicilia avrebbe potuto contare sull’apporto di Giuseppe Tabone, Maria Salvato e Vito Vaccaro «particolarmente attivi nell’aiutare il capomafia aiutandolo ad eludere le indagini, salvaguardandone gli spostamenti e la comunicazione». Tabone e Salvato lo avrebbero tenuto costantemente informato dell’esistenza di telecamere e di possibili attività investigative nei suoi confronti, mentre Vaccaro avrebbe anche messo a sua disposizione mezzi e risorse, tra cui un immobile da destinare ad incontri riservati.