Mafia, “Riaprire caso Rita Atria”: presentata istanza
E' la richiesta contenuta nell'istanza presentata dall'Associazione Antimafie Rita Atria e da Anna Maria Rita Atria
Si riaprano le indagini sulla morte della 17enne Rita Atria. E’ la richiesta contenuta nell’istanza presentata dall’Associazione Antimafie Rita Atria e da Anna Maria Rita Atria, sorella della giovane testimone di giustizia, tramite l’avvocato Goffredo D’Antona del foro di Catania, al procuratore di Roma istanza per la riapertura delle indagini. Gia’ nel 2020 l’Associazione Antimafie Rita Atria e la testata Le Siciliane avevano reso pubbliche le perplessita’ su quanto ritrovato nel fascicolo romano sulla morte della giovane Rita, avvenuta il 26 luglio di 30 anni fa, “ma ne’ le istituzioni, ne’ la politica – e’ l’accusa – hanno sentito l’esigenza di approfondire”. La notizia si e’ diffusa a margine della presentazione a Palermo del libro “Io sono Rita” di Graziella Proto, Nadia Furnari e della giornalista del Tg1 Giovanna Cuce’, Coppola Editore, nel corso della rassegna Una Marina di libri. “Una inchiesta ben fatta”, ha detto l’editore Rosario Esposito La Rossa, che ha reso noto che sono gia’ arrivate due diffide dal “fuoco amico”.
Oggi, dopo un lavoro di inchiesta, meticoloso e rigoroso, si e’ deciso di far confluire tutte le risultanze sulla morte della giovane testimone che si era affidata a Paolo Borsellino, in un esposto per la riapertura delle indagini sulla sua morte. Rita Atria, a soli 17 anni, testimone di giustizia, e’ morta a Roma il 26 luglio 1992, ufficialmente per suicido. Morta una settimana esatta dopo la strage di via D’Amelio, dove persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. E’ noto il legame e l’affetto che legava Rita Atria al giudice Borsellino. Rita era stata costretta a vivere a Roma in quanto c’era il fondato pericolo di vita. Morira’ da sola, senza alcun supporto affettivo e psicologico e, dagli atti, “senza nessuna scorta e tutela, abbandonata a se stessa”. Dalle indagini, “gravemente incomplete” si legge nell’esposto, “con passaggi e scelte investigative inspiegabili, non emerge mai alcuna figura di riferimento”.
Insomma, emerge, argomenta l’istanza, “l’assoluta assenza degli uomini dell’Alto Commissario per la lotta alla mafia (nel documento semplificato con Alto Commissario) al quale una bambina di 17 anni, che aveva deciso di denunciare alla magistratura tutto quello che sapeva sulla mafia di Partanna, era stata affidata dal tribunale dei minori di Palermo, in data 4 marzo 1992″. Il Tribunale per i minorenni, infatti, disponeva l’allontanamento dal nucleo familiare in quanto pregiudizievole per la minore e la poneva sotto la vigilanza dell’Alto Commissario per la lotta alla mafia: “Al tempo era l’ex Prefetto Finocchiaro”. L’istanza e’ il frutto di un lavoro corale che ha visto le diverse professionalita’ unirsi con convinzione in una richiesta che riteniamo e auspichiamo non possa rimanere inascoltata soprattutto alla luce di un “fatto inconfutabile”, afferma l’Associazione Antimafie Rita Atria: “Nessuna effettiva indagine venne mai compiuta per accertarne le cause”. Nell’istanza si denuncia che l’abitazione di Rita Atria fu “ripulita” da qualcuno; che una serie di oggetti utili alle indagini non furono mai repertati ne’ tantomeno sequestrati. Si denuncia, inoltre, l’atipicita’ che la consulenza chimico-tossicologica fu eseguita ben due mesi dopo la morte. E tante altre “stranezze” investigative e procedurali che sono state puntualmente elencate nell’esposto. “Auspichiamo che nel trentesimo anniversario della morte di Rita Atria la Procura della Repubblica di Roma voglia decidere di riaprire le indagini per consegnare la verita’ su una storia legata di certo alla strage di via D’Amelio, dove furono massacrati il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina”, conclude l’Associazione antimafie Rita Atria.