Mafia, sequestrati 1,8 mln euro a Pasquale Cardella: quando si stava scatenando la “guerra” a Licata

La Guardia di finanza di Palermo e Agrigento ha sequestrato beni per 1.8 milioni di euro riconducibili a Pasquale Antonio Cardella, 64 anni, di Licata, nell’agrigentino.


Il provvedimento, disposto dalla Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Agrigento, ha riguardato decine di rapporti finanziari, 7 aziende, 1 villino e 9 terreni, di cui aveva la disponibilita’, personalmente o per interposte persone. Per quanto riguarda specificamente le aziende, sono state sequestrate imprese di costruzione, di trasporto merci su strada e dedite alla frantumazione di pietre, con sede a Licata e nella provincia di Prato.

Pasquale Cardella

Pasquale Antonio Cardella, considerato per anni “il punto di riferimento di Cosa nostra a Licata”, e’ stato arrestato nel 2012, nell’ambito dell’inchiesta “Ouster“, perche’ ritenuto responsabile di estorsione aggravata e intestazione fittizia di beni. Sebbene il processo sia ancora in fase di definizione, le indagini svolte dai finanzieri hanno posto in evidenza “la pericolosita’ del Cardella”, definito dalla Procura del Repubblica di Palermo, nell’ambito del procedimento di prevenzione, come “elemento di spiccata capacita’ delinquenziale nel contesto dell’associazione criminale denominata Cosa nostra”.

Il blitz – scattato nel 2012 – portò all’arresto di 6 persone: Pasquale Antonio Cardella, Angelo Occhipinti, rispettivamente di 61 e 58 anni, Giuseppe Galante, 54 anni; Giuseppe Cardella, 31 anni; Claudio Giuseppe Cardella, 37 anni e Gianluca Vedda, 37 anni.

Pasquale Antonio Cardella nel primo grado del processo “Ouster” era stato condannato a 8 anni e 4 mesi.
Poi, i giudici della Sezione sesta penale della Corte d’Appello hanno riformato il verdetto: assoluzione piena per Pasquale Antonio Cardella (difeso dall’avvocato Lillo Fiorello) e immediata scarcerazione.
La Procura generale avverso l’assoluzione di Cardella ha presentato ricorso in Cassazione.

Nell’inchiesta “Ouster” viene descritto come, con il metodo mafioso, venivano vessati gli imprenditori talvolta costretti a pagare due volte il pizzo a due boss diversi, a loro volta pronti a darsi battaglia a suon di pistolettate per non perdere l’illecito guadagno.  E tra le carte dell’inchiesta emerge come Angelo Occhipinti, “piscimoddu” pur di avere il sopravvento su Pasquale Cardella era pronto a compiere una strage.

Lo racconta il pentito agrigentino Franco Cacciatore che sulle vicende mafiose licatesi sembra sapere molto. Altro contributo importante all’inchiesta è stato dato dall’imprenditore Angelo Stracuzzi il quale dopo pochi mesi dall’inizio della sua collaborazione con i Pm ha subito un’intimidazione mentre si trovava a Riesi: cinque colpi di pistola contro la sua auto.

Le imprese non avevano molta scelta: chi voleva lavorare a Licata o versava il due percento dell’importo complessivo dell’appalto oppure dovevano noleggiare mezzi e acquistare materiali da ditte indicate dall’organizzazione criminale.

 

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