Mafia: Stragi ’92, Lia Sava: “Matteo Messina Denaro prono a volere Riina”

Lia Sava

Maurizio De Lucia

“Cosa nostra, già negli anni ’80, aveva giurato vendetta contro Falcone e Borsellino. Ed in particolare contro Borsellino per l’attività svolta come procuratore della Repubblica a Marsala. Da qui il coinvolgimento di Matteo Messina Denaro negli attentati”.

Così il procuratore di Caltanissetta, Lia Sava, che ha spiegato, nel corso di una conferenza stampa, i motivi che hanno portato all’ordine di cattura spiccato nei confronti del boss latitante Matteo Messina Denaro, in quanto ritenuto mandante delle stragi di Capaci e via D’Amelio. L’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata emessa dal Gip di Caltanissetta, su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia. Il provvedimento cautelare segue le ordinanze emesse tra il 2012 ed il 2013, sempre dal Gip di Caltanissetta, nei confronti di vari appartenenti a Cosa nostra ritenuti, a vario titolo, responsabili delle stragi consumate nel corso del 1992.

Il procuratore di Caltanissetta ha fatto riferimento alle dichiarazioni di una serie di pentiti e alla commissione di diversi omicidi, ritenuti propedeutici alle stragi.

“Matteo Messina Denaro – ha detto il magistrato, citando un passo dell’ordinanza di custodia di cautelare – era prono al volere di Totò  Riina”.

E’ dal 2008 che la Procura di Caltanissetta dà la caccia a mandanti ed esecutori delle stragi di mafia, rimasti impuniti. Lo hanno ricordato i magistrati nisseni spiegando, nel corso di una conferenza stampa, i motivi che hanno portato all’ordine di cattura spiccato nei confronti del boss latitante Matteo Messina Denaro, in quanto ritenuto mandante delle stragi di Capaci e via D’Amelio. Matteo Messina Denaro, secondo una ricostruzione dei magistrati della Procura di Caltanissetta che si è basata anche sulla testimonianza di diversi pentiti, avrebbe preso parte a summit e riunioni in cui sarebbe stata pianificata l’eliminazione dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Il boss latitante, come è stato ribadito nel corso della conferenza stampa, avrebbe raccolto l’eredità di Riina e Provenzano, dopo il loro arresto. Il ruolo di mandante di Matteo Messina Denaro degli attentati ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uccisi nel ’92, emerge da più collaboratori in varie inchieste, tra cui quelle portate a termine dalla Dda di Caltanissetta nel 2012 e nel 2013, che negli anni hanno raccontato, ad esempio, che il latitante trapanese reggeva Cosa nostra della sua provincia al posto del padre, il capomafia Ciccio Messina Denaro.

Matteo Messina Denaro

Come raccontato dai pentiti Vincenzo Sinacori e Francesco Geraci, Messina Denaro avrebbe preso parte, a settembre del 1991, al summit mafioso di Castelvetrano in cui sarebbe stato pianificato il progetto di assassinare Falcone. Alla riunione c’erano anche boss come Totò Riina, lo stesso Sinacori, e Giuseppe Graviano. Inoltre, raccontano più pentiti, Messina Denaro partecipò alla “missione” del commando che avrebbe dovuto assassinare Falcone a Roma a fine febbraio del 1992. Il progetto fallì e mesi dopo il capomafia trapanese tornò nella Capitale per riprendere le armi che si sarebbero dovute usare per l’omicidio. Il latitante di Castelvetrano, come riferito da diversi collaboratori di giustizia trapanesi, aveva poi progettato l’assassinio di Borsellino fin da quando questi era procuratore di Marsala. Da qui anche l’accusa di mandante della strage di via d’Amelio. “Il coinvolgimento di Matteo Messina Denaro nelle stragi del ’92 incarna il progetto della strategia stragista unitaria

messa in atto da Cosa nostra – ha detto Sava ­, il gip scrive a chiare lettere che era ‘prono’ e quindi completamente disposto a eseguire gli ordini di Riina, che voleva eliminare i nemici di Cosa nostra. Per questo, infatti, vengono uccisi i boss Craparotta e D’Amico che si opponevano al progetto di guerra allo Stato voluto da Riina”.