Il mastino che faceva paura alla mafia, 31 anni fa l’omicidio Guazzelli
Sono passati trentuno anni dall’omicidio del maresciallo Giuliano Guazzelli, ucciso il 4 aprile 1992 da Cosa nostra nei pressi del bivio del quartiere di Villaseta
Foto di Sandro Catanese
Sono passati trentuno anni dall’omicidio del maresciallo Giuliano Guazzelli, ucciso il 4 aprile 1992 da Cosa nostra nei pressi dello svincolo del quartiere di Villaseta. Questa mattina, come ogni anno, è stata officiata dal cappellano militare Don Salvatore Falzone una messa in memoria del “mastino” nel Santuario di San Calogero di Agrigento. Presenti, oltre i familiari di Guazzelli, anche le più alte cariche civili e militari della provincia. Alle 11 la cerimonia si è spostata proprio nel bivio di Villaseta, il luogo dell’efferato omicidio, dove è stata deposta una corona di alloro alla presenza di un picchetto d’onore tra le note del “silenzio” scandite dal trombettiere del 12° Reggimento Carabinieri “Sicilia”. Grandangolo, anche oggi, ricorda Giuliano Guazzelli con affetto e rabbia.
L’OMICIDIO GUAZZELLI
Sono appena passate le tredici del 4 aprile 1992. E’ sabato, l’aria è calda proprio come una di quelle che si respira in piena estate, le strade sono semi-deserte così come gli uffici, i negozi della via Atenea. Anche il Tribunale di Agrigento (allora situato proprio in fondo al salotto buono della Città) è quasi vuoto. Al primo piano Guazzelli – a capo della polizia giudiziaria – sistema le ultime cose prima di mettersi a bordo della sua Fiat Ritmo color verde, destinazione Menfi (non prima di un ultimo giro veloce in Caserma) dove ad attenderlo c’è la moglie. Ma quel giorno il maresciallo non è solo per le vie di Agrigento. Qualcuno lo sta pedinando a bordo di un motorino, segue i suoi movimenti e li comunica. Stesso percorso di sempre: Tribunale, passaggio rapido in Caserma per poi riprendere la marcia dalla via Gioeni, salendo per la “Standa” e proseguire verso il Ponte Morandi. Proprio al bivio che porta al quartiere di Monserrato riecco apparire quel furgone rubato nello stesso borgo appena quarantotto ore prima: il portellone posteriore del mezzo si apre ed una pioggia di fuoco travolge il maresciallo. Quattordici colpi sul cofano, nove fori sui vetri, il finestrino di destra disintegrato, il viso del maresciallo portato via dal piombo. Lo Stato deve e vuole reagire immediatamente, e lo fa, (sbagliando) seguendo le indicazioni di un discutibile pentito: otto mesi dopo l’esecuzione del maresciallo Guazzelli scatta l’operazione “Mastino” che porta all’arresto di quattro “picciotti” originari di Palma di Montechiaro indicati come esecutori materiali del delittazzo (e condannati all’ergastolo poi annullato). Ci vorrà Alfonso Falzone (pentito dopo esser rimasto ferito in un agguato alla trattoria “Lo Zingaro” del Villaggio Mosè), uno dei killer più freddi e spietati della cosca di Porto Empedocle, a riscrivere la verità di quegli attimi: per l’omicidio sono state inflitte sei condanne definitive al carcere a vita. All’ergastolo sono finiti Salvatore Fragapane, Joseph Focoso, Simone Capizzi, Salvatore Castronovo, Giuseppe Fanara e Gerlandino Messina.
Per leggere la storia di Giuliano Guazzelli, il “mastino”, bisogna prendere una boccata d’aria e poi buttare tutto giù in un fiato: dalle indagini sui corleonesi al fianco del colonnello Giuseppe Russo e al maresciallo Vito Jevolella fino all’operazione Santa Barbara, la prima vera offensiva contro la mafia in provincia di Agrigento, passando per la storica collaborazione con la giustizia di Benedetta Bono (“Ninetta scendi che dobbiamo parlare”) amante del boss Carmelo Colletti. Qualcuno, nel corso degli anni, ha provato anche a scalfire l’immagine e la memoria di questo splendido esempio. Ma fortunatamente, anche grazie alla silenziosa battaglia portata avanti da semplici uomini, tutto ciò non è avvenuto.