Agrigento

La Direzione distrettuale antimafia a caccia dei soldi e delle armi del clan di Villaseta (foto)

Novità importantissime perché affondano le radici su due aspetti che rendono forti le compagini criminali: le armi e i soldi.

Pubblicato 4 ore fa

Sono 54 gli indagati coinvolti a vario titolo nella maxi inchiesta sulle famiglie mafiose di Villaseta e Porto Empedocle e su un vasto traffico di sostanze stupefacenti che avrebbe inondato di droga non soltanto la provincia di Agrigento ma anche quelle di Caltanissetta, Trapani e Palermo. La Direzione distrettuale antimafia – con i pm Claudio Camilleri, Giorgia Righi e Luisa Bettiol – ha notificato l’avviso di conclusione indagini e si appresta dunque a chiedere il rinvio a giudizio.

Due le operazioni eseguite dai carabinieri del Comando provinciale di Agrigento guidato dal colonnello Nicola De Tullio e dal vice Vincenzo Bulla – scattate tra dicembre 2024 e gennaio 2025 – che hanno di fatto decapitato le famiglie mafiose di Villaseta e Porto Empedocle portando al fermo e all’arresto di oltre cinquanta persone. Lunghissima la lista delle ipotesi di reato contestate (a vario titolo) dai magistrati della Dda di Palermo: associazione a delinquere di stampo mafioso, associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni compiute e tentate aggravate dal metodo mafioso, danneggiamenti aggravati, numerosi episodi di cessioni di droga, detenzione di armi e riciclaggio di denaro. Subito dopo il maxi blitz, infatti, i carabinieri sono riusciti a sequestrare una parte del denaro della cosca di Villaseta ma soprattutto un pericoloso arsenale custodito da un insospettabile netturbino: pistole, granate, mitragliatrici. 

Queste ultime due vicende, avvenute dopo l’esecuzione dei provvedimenti di cattura, rappresentano altrettante novità rispetto alla genesi dell’indagine primaria. E sono novità importantissime perché affondano le radici su due aspetti che rendono forti le compagini criminali: le armi e i soldi. E su questi temi, adesso, indaga la Direzione distrettuale antimafia di Palermo che, come primo atto, hanno contestato l’aggravante mafiosa a due persone che non erano state inserite nel lungo elenco delle persone da catturare nei due provvedimenti rerstrittivi di dicembre e gennaio 2025. Ed infatti, ai 52 destinatari di misura cautelare sono stati aggiunti Luigi Prinzivalli, 73 anni e Alessandro Mandracchia, 49 anni, entrambi di Agrigento.

Al primo, zio del presunto capomafia di Villaseta Pietro Capraro, sono stati trovati circa 80.000 euro in contanti all’interno della sua abitazione. L’uomo, denunciato in una prima fase, alla Procura di Agrigento per riciclaggio adesso dovrà fare i conti con l’aggravante di aver favorito Cosa nostra.

Al secondo, un netturbino divenuto figura di alto profilo investigativo, non sono stati dissequestrati, invece, i soldi che deteneva, quando proprio Mandracchia, fermato dai carabinieri, nel novembre scorso, in compagnia di Guido Vasile, trasportavano 120 mila euro in contanti in una busta di plastica sulla cui provenienza e destinazione ancora oggi si sa poco. Gli inquirenti, che indagavano dal 2021, ipotizzano che i due, fermati all’altezza di Palma, stessero andando a Gela a pagare una partita di droga. Mandracchia, in quella circostanza, si era difeso sostenendo che aveva trovato i soldi in un’aiuola mentre faceva il suo lavoro di operatore ecologico.

Proprio Mandracchia (adesso difeso anche dall’avvocato Salvatore Cusumano) pochissimi giorni dopo la retata che non lo ha riguardato, è stati arrestato sempre dai carabinieri, con l’accusa di detenere un vero e proprio arsenale: una mitragliatrice, una penna pistola e, addirittura, una bomba a mano. I carabinieri del Comando provinciale di Agrigento sono convinti di avere scoperto l’arsenale del clan di Villaseta guidato dal boss Pietro Capraro. I militari dell’Arma, coadiuvati dallo Squadrone Eliportato Cacciatori di Sicilia e dei Nuclei Cinofili di Palermo – Villagrazia e Nicolosi, hanno fatto irruzione in un casolare in contrada Fondacazzo di proprietà di un netturbino 48enne dove all’interno di un bidone di plastica sono state rinvenute le armi, alcune anche da guerra.

Per i pubblici ministeri bisogna cercare ancora perchè tutto non pè stato trovato.

In quasi tre anni di indagini, secondo quanto ricostruito dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, è stata fatta luce sulla riorganizzazione di storiche cosche mafiose come quelle di Villaseta e Porto Empedocle. La prima sarebbe stata guidata dal boss Pietro Capraro che, dopo aver scontato una condanna per mafia nell’operazione Nuova cupola, avrebbe preso in mano le redini del clan portandolo ad una ribalta per molti inaspettata. Operazioni di polizia successive a quella dei carabinieri, infatti, hanno fotografato il ruolo di primissimo piano che la cosca di Villaseta era riuscita a ritagliarsi nelle rotte del narcotraffico arrivando addirittura a rifornire di stupefacente storici mandamenti mafiosi palermitani.

La cosca di Porto Empedocle, invece, sarebbe stata saldamente nelle mani di Fabrizio Messina, fratello dell’ergastolano e vice rappresentante provinciale di Cosa nostra, Gerlandino. I due clan, sempre secondo quanto ipotizzato dagli inquirenti, in un primo momento sarebbero entrati in aperto conflitto con attentati, danneggiamenti ed episodi che hanno destato molto allarme sociale. Il reato di associazione mafiosa – in qualità di partecipi – viene contestato ad altre tre persone: si tratta di Gaetano Licata, ritenuto il braccio destro di Pietro Capraro; Gabriele Minio e Guido Vasile, che secondo gli inquirenti farebbero parte della stessa cosca di Villaseta. 

Parallelamente viene contestato il reato di associazione a delinquere finalizzato al traffico di sostanze stupefacenti. Per i magistrati antimafia, infatti, sarebbe esistito un gruppo in grado di importare grossi carichi di droga anche attraverso canali sudamericani e del Belgio per poi rifornire in grosse quantità non soltanto la provincia di Agrigento ma anche quelle di Trapani, Caltanissetta e Palermo. Al vertice di questo sodalizio, secondo quanto contestato dalla Dda di Palermo, ci sarebbero stati Fabrizio Messina e il canicattinese Vincenzo Parla. Lo stesso reato, ma in qualità di partecipi, viene contestato anche ad Alfonso e Angelo Tarallo, Angelo Graci, Carmelo Corbo, Ignazio Carapezza e Alfonso Lauricella. 

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