Agrigento

Il libro “Se Dio non vale un quadro” presentato ad Agrigento

Erano presenti l’arcivescovo Alessandro Damiano, l’ex soprintendente ai beni culturali dott.ssa Gabriella Costantino

Pubblicato 1 anno fa

Liborio Palmeri è un parroco, uno scrittore di fiabe, uno storico dell’arte, un curatore di mostre, il direttore felice di un archivio, di un museo e di una biblioteca, che ha visto nascere.

Si occupa prevalentemente di persone.

Un parroco che oggi si chiede “Dopo l’inaudito sacrificio, non doveva la Vittima illustre, personificata nel Crocifisso, scomparire? Invece, uscito dalle chiese, il Cristo è diventato l’ossessione degli artisti del Novecento, assurgendo a simbolo di ogni umana sofferenza.  La Chiesa, invece, pur depositaria per secoli dei simboli religiosi dell’occidente e pur essendo stata una potente fabbrica d’immagini, ha finito col perdere il contatto vivo con gli artisti più innovativi, adagiandosi nella replica stanca e rassicurante dei moduli del passato. Nel frattempo, nuove discipline, come l’antropologia religiosa e la psicanalisi, hanno tracciato i lineamenti dell’homo religiosus di ogni tempo”.

Un assunto tranchant che Palmeri  spiega con dovizia di dettagli e di iconografia nel suo libro “Se Dio non vale un quadro” presentato stasera nel salone del Mudia di Agrigento da Eva Di Stefano docente emerito di Arte contemporanea dell’Università di Palermo e da Rita Ferlisi della Soprintendenza di Agrigento che hanno anticipato diffusamente la narrazione del libro sulla crisi dell’arte sacra, l’eclisse dell’immagine di Dio e la persistenza del Sacro nello sviluppo della cultura visiva sperimentale.

Erano presenti l’arcivescovo Alessandro Damiano, l’ex soprintendente ai beni culturali dott.ssa Gabriella Costantino mentre una giovane promessa della musica agrigentina, Valentino Taormina, al pianoforte ha interpretato brani di Bach e Scarlatti. A don Liborio abbiamo chiesto una intervista dove spiega le molte facce della trappola del guardare e del non riuscire a vedere.

Se Dio non vale un quadro oggi però lo vediamo nelle clip televisive, nelle sequenze cinematografiche che ci provengono dagli angoli più angosciosi del mondo. Noi guardiamo una valanga di immagini ma non “vediamo”. Una capacità che si sta dileguando.

“E’ tipico delle società dove si producono troppe immagini e allora non si riesce a capire qual è l’immagine reale o l’immagine falsa, l’immagine invece che diventa icona del momento  storico.  Quando c’è una contrapposizione c’è anche una confusione e da questo punto di vista questa nostra società, credo, esprima questa confusione, questo smarrimento. Allora incontrarci, parlare, guardare anche immagini  e saperle decodificare insegna a decodificare la realtà. E quando tu vedi una immagine e la colleghi a qualcosa che sta avvenendo o  che è accaduto  ti colleghi con quello che devi trasformare e cambiare. Oggi la stessa pittura ha poco senso perché le immagini che ci provengono dal mondo, per esempio l’angoscia dell’ottocento che la pittura  ci ha consegnato oggi lo vediamo nei tanti volti che vengono fotografati dove c’è la guerra, c’è il terremoto o i documentari tristi del Covid, purtroppo siamo in un momento dove  l’arte e la realtà si stanno intrecciando dolorosamente l’una con l’altra”.

In questi giorni c’è una simpatica polemica innescata da Bonito Oliva che dice “non c’è l’arte, esiste   il sistema culturale”.

“Ma questo sistema l’ha creato proprio lui lanciando la transavanguardia, insomma parla di qualcosa che conosce bene. Purtroppo anche qui c’è una certa condizione  con uno sganciamento della vita dall’arte che è dovuta anche a questi sistemi culturali che magari guardano di più al profitto e dare visibilità a degli artisti che nel mercato devono essere competitivi Bisogna  andare invece a rischiare con la verità delle cose. E’ una polemica innescata da Achille Bonito Oliva che è capace di fare il suo lavoro, il mestiere di sempre”.

Foto di Diego Romeo

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