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Dall’omicidio Livatino al “pentito” Tuzzolino e la superloggia di Messina Denaro

Il racconto senza sconti dell’ex procuratore aggiunto Principato: 40 anni di mafia siciliana e agrigentina tra stragi, veleni, tradimenti, boss, politica e imprenditoria

Pubblicato 3 mesi fa

Non lo sapevamo che per un articolo pubblicato da Grandangolo la superloggia massonica “La Sicilia” quella voluta e comandata da Matteo Messina Denaro venne chiusa. Lo rivela, a pagina 255, il bel libro di Teresa Principato, valente pubblico ministero adesso in pensione, dal titolo “Siciliana”. Scrive testualmente l’ex magistrato: “Secondo Tuzzolino, nel periodo del suo arresto chiusero la superloggia La Sicilia a seguito del suo patteggiamento e della pubblicazione sulla rivista «Grandangolo» di un articolo a esso relativo”.

Adesso la circostanza è nota e desta, in qualche modo, particolare stupore. Ma non è solo questo particolare inedito ad arricchire di contenuti e valori storici lo strepitoso volume della nostra conterranea. Nell’articolo che segue leggerete una esaustiva recensione che fornisce ogni necessario elemento per comprendere quanto duro, difficile e complicato è stato per Teresa Principato attraversare e molto spesso squarciare, da protagonista un quarantennio di storia mafiosa siciliana. Ne viene fuori un ritratto della lotta alla mafia in qualche modo offuscato da errori ed omissioni, molte volte da incomprensioni, che portano l’autrice del volume a spaccare in due cinque o sei Procuratori della Repubblica (alcuni ancora oggi in veste di simboli dell’antimafia) tra i quali Piero Grasso, Francesco Messineo, Giovanni Tinebra, Pietro Giammanco, Curti Giardina, Francesco Lo Voi. Ma anche ad avanzare seri dubbi sulla conduzione di alcune delicate inchieste come quelle relative a mafia e massoneria. Teresa Principato riscrive la storia mafiosa degli ultimi quarant’anni ed avvolge il lettore col sapiente argomentare e costringerlo a leggere tutto d’un fiato per non perdere l’occasione di sapere tutto e subito. Certo, dal punto di vista dell’ex procuratore aggiunto di Palermo ma sempre punto di vista autorevole e proveniente dall’interno dei palazzi dove si amministra giustizia. Se poi il comune lettore è anche giornalista che ha operato, dal suo osservatorio, in parallelo con l’attività della dottoressa Principato, allora si capisce meglio che il percorso comune – ma in parallelo – del quarantennio mafioso passato fa si che la lettura diventa più affascinante, più tecnica e più completa. E di questo, oggi, voglio darvi conto.

Teresa Principato rievoca fatti e circostanze che i più hanno dimenticato. Ma sono fatti che ancora oggi hanno un valore assoluto straordinario. Ricorda, ad esempio, di tale Gioacchino Schembri, uno stiddaro di Palma di Montechiaro residente a Mannheim in Germania che aprì ampi squarci di luce sull’omicidio del giudice Livatino. Insieme al compianto Paolo Borsellino lo interrogò ripetutamente dopo averlo condotto in Italia e nascosto in una località “sicura” del Trentino: Silandro. Fu la prima volta che giornalista e pubblico ministero entrarono direttamente in contatto. Avendo svelato sulle pagine de La Sicilia del nuovo pentimento che tanto danno stava facendo al clan stiddaro di Palma di Montechiaro, immediata fu la reazione del magistrato che ordinò (insieme a Vittorio Teresi) una perquisizione della mia residenza abituale, quella estiva e della redazione de La Sicilia di Agrigento nel tentativo di trovare i verbali degli interrogatori di Schembri che io, in verità, non possedevo. Pensai subito: ha fatto bene. Ma non fu il solo episodio che mi vide direttamente in contatto con Teresa Principato. Leggendo il libro che contiene molte storie tutte agrigentine, mi imbatto nel capitolo “Tuzzolino e la superloggia”. I lettori di Grandangolo sanno bene come abbiamo affrontato questa vicenda: con il massimo sforzo e con onestà giornalistica che proveniva dalla lettura degli eventi. Ed abbiamo tirato dritto senza farci impaurire.

Il capitolo è particolarmente interessante e ve lo proponiamo quasi integralmente più avanti perché molte cose affermate dalla dottoressa Principato sono convincenti e meritano anche oggi gli approfondimenti giudiziari sinora mancati con una rilettura ancora più critica di tutte le affermazioni di Tuzzolino e capire quali utilizzare, dopo un serrato vaglio probatorio, e quali no. Un’altra sinecura assolutamente preziosa per Messina Denaro – che, tra le altre cose, gli consentiva di girare per il mondo era la sua appartenenza alla massoneria.

“Il 4 marzo 2015 cominciò il mio rapporto con un collaboratore di giustizia, l’architetto Giuseppe Tuzzolino, che aveva iniziato a parlare con i giudici della procura di Agrigento. Tuttavia, il suo rapporto con gli inquirenti era molto problematico, tant’è che, se ricordo  bene, aveva subìto la revoca del programma provvisorio di protezione, perché aveva  parlato  di circostanze che non erano state accertate. Avendo saputo dai miei colleghi che aveva qualcosa da dire su Messina Denaro, volli comunque avere un colloquio con lui. Lo sentimmo di sera, in una caserma; naturalmente la nostra primaria esigenza era quella di acquisire subito notizie su Matteo Messina Denaro e lui, che aveva ben compreso tale esigenza, cominciò riferendo dinanzi a me, al procuratore Lo Voi e all’appuntato Pulici – i luoghi in cui aveva incontrato colui che all’inizio aveva conosciuto come Nicolò Polizzi (identità, come vedremo, sottratta  a un imprenditore di Castelvetrano). Per consentirci di fare con immediatezza  i nostri accertamenti, Tuzzolino cominciò a descrivere con ricchezza di particolari l’appartamento ammobiliato di New York, vicino a Manhattan, dove si recava per una serie di affari in cui era coinvolto Matteo Messina Denaro, e dove, in un mobiletto di cui fece un’accurata descrizione, aveva lasciato un computer contenente foto del boss e tracce degli affari conclusi per suo conto, di cui poi ci parlò. Era quella la notizia più urgente che Tuzzolino riteneva di raccontare, per consentirci di dare un volto al latitante e di seguire le sue tracce.

Cominciammo subito gli accertamenti, facendo con la massima urgenza una rogatoria a New York per verificare l’esistenza sia dell’appartamento sia del mobiletto, ma l’esito fu negativo. L’appartamento, come constatarono anche i poliziotti americani, era stato affittato ad altri, i mobili erano stati cambiati e del computer non c’era traccia. Una storia impossibile da verificare, visto che Tuzzolino aveva lasciato quell’appartamento nel 2012, perciò ben tre anni prima. Nel marzo 2015, il procuratore Lo Voi ripresentò il programma provvisorio di protezione per Tuzzolino, il quale, negli interrogatori successivi, ci disse che lui era un massone, così come il suocero Calogero Baldo e la fidanzata Valentina Baldo, e che tutti e tre erano stati iscritti alla loggia Empedocle  di Agrigento. L’8 gennaio 2010 era stato affiliato alla loggia Garibaldi di Castelvetrano, e l’anno prima era stato cooptato alla loggia La Sicilia, sempre di Castelvetrano, per ritornare a far parte della Garibaldi dall’aprile 2011 al febbraio del 2012. L’affiliazione di Tuzzolino, del suocero e della fidanzata alle varie logge trovava conferma nelle indagini del Gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata (Gico) della Guardia di finanza. Tuzzolino, quindi, entrò nella loggia La Sicilia nel 2009, ma già da due anni era a conoscenza della decisione presa direttamente da Matteo. Messina Denaro di creare quella che in realtà si configurava come una superloggia, nel la quale Cosa nostra non avrebbe più dovuto mescolarsi alla politica perché sarebbe diventata essa stessa politica. Di conseguenza, all’interno  della nuova superloggia La Sicilia  andavano  reclutati  solo  ed  esclusivamente imprenditori, ingegneri, architetti, professionisti, avvocati, medici, soprattutto onorevoli e anche, se si riusciva, appartenenti alle forze dell’ordine e alla magistratura. Questo  era il progetto,  e questo puntualmente  avvenne. 

La superloggia venne fondata quindi nel 2007. Il venerabile ufficiale era il professore Gasparino Valenti e gli stessi fratelli non erano a conoscenza degli altri affiliati, una segretezza nella segretezza. A capo di tutto vi era Matteo Messina Denaro, che si muoveva come un grande imprenditore, senza alcun tipo di ostacolo o limitazione. Tuzzolino lo descrisse come una persona totalmente libera, che aveva agganci con medici, politici e uomini d’affari. Era lui in prima persona a selezionare i membri della superloggia, e sempre lui si preoccupava che costoro procurassero lavoro in tutta la Sicilia, provincia per provincia. Naturalmente io mi preoccupai di mettere subito sotto intercettazione tutte le persone che Tuzzolino aveva indicato come membri della. consorteria. Di quella realtà noi stessi avevamo constatato i contorni nell’ambito delle indagini. Messina Denaro separava il piano della criminalità mafiosa da quello della borghesia professionale, imprenditoriale e politica, per poter trarre benefici economici da questi rapporti attraverso la possibilità di bypassare gli intralci  burocratici che avrebbero potuto frapporsi alla realizzazione. dei suoi progetti. Senza spargimenti di sangue ma approfittando sempre del suo prestigio, grazie a quel formidabile collante con la pubblica amministrazione  che è costituito dai legami massonici. D’altra parte, la massoneria è un vero e proprio potere parallelo, in grado di inquinare l’attività amministrativa e la gestione della cosa pubblica, costituendo in molti casi una temibile turbativa per le istituzioni e la collettività.

Proprio in quel periodo seppi dell’esistenza di un altro collaboratore di giustizia che da diversi mesi stava parlando con la Dda di Roma. Si trattava del medico cardiologo calabrese Marcello Fondacaro, per anni trapiantato a Mazara del Vallo e più volte arrestato per i suoi rapporti con la ‘ndrina dei Piromalli, storica famiglia della zona tirrenica calabrese. Nei suoi interrogatori, iniziati nel luglio del 2015, Fondacaro ricostruì i legami criminali nel trapanese, elencando massoni, medici e politici che erano a disposizione di Cosa nostra. Ma soprattutto confermò alcune rivelazioni di Tuzzolino: la superloggia massonica fondata da Messina Denaro era una derivazione della loggia P2 ed era denominata La Sicilia. Una dichiarazione importante perché confermava le rivelazioni dell’architetto agrigentino e per altre circostanze di cui parleremo. Ma perché Tuzzolino era stato iscritto alla superloggìa? Innanzitutto, per facilitare, per conto del suocero Calogero Baldo, le operazioni burocratiche necessarie alla costruzione del nuovo tribunale di Marsala, commessa per la quale Baldo, che aveva ottenuto la direzione dei lavori, incassò circa 13 milioni di euro. Per quel lavoro Tuzzolino venne introdotto nella superloggia tramite Baldo in persona (di cui si definiva il galoppino), ma a Trapani volevano garanzie sul suo conto che provenissero non dal mondo politico, ma direttamente da Cosa nostra. Fu a quel punto che intervenne Carmelo Vetro, figlio del boss deceduto Giuseppe, il quale garantì per Tuzzolino. Ed è significativo che ancora nel 2009 la superloggia chiedesse la garanzia di un mafioso per l’espletamento di questi lavori. Tuzzolino spiegò che Vetro era fa sua garanzia su tutto, la sua garanzia sulla vita.

La ricostruzione compiuta da Tuzzolino in merito alla realizzazione del tribunale di Marsala, progettazione, direzione dei lavori, tangenti pagate ai vari ingegneri per certificare gli stati di avanzamento e perplessità mosse dal presidente del tribunale per l’inadeguatezza dell’opera – occupa pagine e pagine di verbali. Un importante conferma alle sue dichiarazioni in ordine alla cooptazione, all’interno della precedente loggia, di Carmelo Vetro (il cui nominativo non compare in alcun registro ufficiale) proviene da un’intercettazione ambientale registrata  nel 2016 presso l’ufficio del Centro Sociologico Italiano, i’ occasione di  una tornata  finalizzata  all’iniziazione di due novizi, Serafina Savaglio e Francesco La Croce. alla loggia Hipsas, di obbedienza francese. I due nel corso della conversazione intercettata, analizzavano le differenze tra l’obbedienza italiana e quella francese. In particolare, Savaglio riferiva circa i suoi esordi massonici, riconducibili al massone favarese Carmelo Vetro, già condannato a nove anni di reclusione per associazione mafiosa, raccontando di essere stato iniziato a Castelvetrano con lui e ricordando la sgradevolezza. di quel periodo.

In un’altra conversazione, datata 15 aprile 2016, due importanti componenti della loggia parlano di Tuzzolino, stigmatizzando le sue dichiarazioni ai magistrati: uno degli interlocutori esprime il timore che fossero stati loro stessi a dargli troppa importanza quando andava a Parigi. E l’altro rispondeva che se quelli di Agrigento gli avevano dato assicurazione, problemi non ce n’erano. In realtà, come accertato dagli investigatori, i massoni castelvetranesi aderenti all’obbedienza della Sicilia vennero “messi in sonno” e dalla stessa nasceva la loggia massonica Hipsas, aderente all’obbedienza del Grande Oriente di Francia. La gran parte dei fratelli iscritti alla nuova loggia, infatti, proveniva dalle precedenti logge esistenti nel territorio castelvetranese. Secondo Tuzzolino, nel periodo del suo arresto chiusero la superloggia La Sicilia a seguito del suo patteggiamento e della pubblicazione sulla rivista «Grandangolo» di un articolo a esso relativo.

Tuzzolino ci raccontò che poteva presenziare solo alle riunioni a cui veniva invitato, perché si doveva parlare o dei lavori relativi al tribunale di Marsala o di altre situazioni in cui comunque ci si interessava della, persona o del ruolo dell’architetto Baldo. Per questo motivo presenziò solo a cinque o sei incontri, nelle vesti di imprenditore, durante i quali Messina Denaro/Polizzi non gli rivolse mai la parola, né lui sospettava ancora che potesse trattarsi  del boss.  Lo avrebbe capito  solo in  seguito, nel corso di altre riunioni. Gli incontri tra i membri della Sicilia avvenivano in di verse città della regione (ecco perché essa veniva definita “itinerante”), mese per mese; ma Tuzzolino raccontò di aver partecipato solo a quelli che avevano luogo a Castelvetrano, nel tempio dove aveva sede il Centro Sociologico Italiano. In  quelle occasioni nessuno  lo calcolava, anche perché, come già  detto, lui faceva solo il portalettere dei messaggi di Baldo. Gli ci volle molto tempo per conquistare la fiducia degli altri fratelli.

In ordine alle persone incontrate a quelle riunioni, Tuzzolino ci fece diversi nomi, anche rilevanti, di persone insospettabili, soprattutto politici e medici. Si soffermò su quello di Francesco Guttadauro, che lui conosceva come imprenditore, e indicò anche un simbolo preciso che distingueva quella loggia nel mondo della massoneria. Effettivamente, come già detto all’atto del suo arresta (operazione Eden), nel portafoglio di Francesco Guttadauro venne trovata proprio l’effigie della Sicilia. Il tempio veniva bonificato ogni mese, per evitare intercettazioni. Anzi, una volta fu Girolamo Bellomo a sollecitarne la bonifica:, prima che arrivasse Matteo Messina Denaro, in quanto aveva visto in giro carabinieri del Ros. È chiaro che tanta prudenza non poteva essere dettata che dall’esigenza di salvaguardare presenze e affari illeciti. Tuzzolino ricordò di avere personalmente conosciuto il tecnico della Sio che procedeva a quelle bonifiche, poiché era andato personalmente  a prenderlo in via XXX  Gennaio, a Trapani. E successivamente ebbe modo di riconoscerlo quando lo stesso tecnico, insieme ad altri colleghi, si era recato a casa sua «con una valigetta di colore grigio» per realizzare un sistema di ascolto nel telefono della sua abitazione. Così l’architetto, data la sua pregressa esperien­za, capì di essere stato sottoposto a intercettazione dagli stessi giudici che lo stavano interrogando.

Messina Denaro, ci raccontò, gestiva i propri affari attraverso tre canali: il primo era diretto a Cosa nostra, di cui però Tuzzolino non conosceva gli affiliati; poi c’era il canale della massoneria affaristico-imprenditoriale  e infine il terzo canale, quello di cui faceva parte anche lui e che era un misto tra mafia e massoneria. Le logge venivano utilizzate come comitati di affari. Tuzzolino ci parlò della compravendita  di farmacie, dei programmi  di Sviluppo rurale autorizzati in Sicilia dal 2014 al 2020, ma anche degli affari che, grazie proprio a Messina Denaro, gli imprenditori facevano con imprese di siciliani trapiantati all’estero. E a proposito di Paesi esteri, l’architetto raccontò anche dei ripetuti viaggi compiuti da Messina Denaro e dai membri della superloggia La Sicilia a Maastricht, in Olanda, e a Parigi, dove andò anche Carmelo Vetro. Fu proprio a Maastricht che il boss latitante gli rivolse la parola per la prima volta.

Tuzzolino raccontò che in Olanda Messina Denaro/Polizzi era in compagnia di una bellissima donna brasiliana di nome Rosi (conosciuta nella città di Curitiba, capitale dello stato del Paranà, dove insieme al vero Nicolò Polizzi, suo marito, la donna gestiva una grande azienda di mobili. Le indagini in merito portarono all’identificazione sia del vero Nicolò Polizzi, imprenditore di Castelvetrano, anch’egli massone, sia della moglie Rosi. Tuzzolino, infatti, fornì al Gico le rispettive utenze telefoniche, che effettivamente riconducevano ai due. Messina Denaro, quindi, si era appropriato non solo dei documenti di Polizzi (che gli consentivano di viaggiare) ma anche di sua moglie, lasciando intendere che fosse la sua compagna. Sempre lo stesso collaudato sistema).

Quella sera a Maastricht, prima cli cena, Tuzzolino fu chiamato in disparte dagli altri convitati, i quali gli rivelarono. che Polizzi era un  grande imprenditore, un  uomo d’affari di un certo livello che godeva  di una protezione assoluta. Gli fecero anche capire che apparteneva  ai servizi segreti, giusto per esagerare un po’ la cosa, e gli dissero di non guardarlo negli occhi poiché soffriva di una forma di strabismo, perciò bisognava evitare di fargli notare che il suo difetto era evidente. Al che Tuzzolino non poté fare a meno di ridere, ci raccontò, perché anche la fidanzata Valentina era strabica. Poi aggiunsero che Polizzi voleva rimanere molto riservato e che quindi lui doveva considerarsi molto privilegiato a partecipare a quell’incontro, da cui avrebbe potuto trarre solo grandi vantaggi per tutta la vita.

 Nel corso di quel primo colloquio a Maastricht, Messina Denaro disse a Tuzzolino che il venerabile si era espresso in modo lusinghiero nei suoi confronti, e gli fece altresì presente che loro lavoravano a un progetto imprenditoriale grandissimo e che se continuava a comportarsi bene gli avrebbe dato la possibilità di crescere all’intero della loggia. Poi parlarono della possibilità di far candidare il figlio di uno loro a futuro sindaco, di appoggiarlo politicamente (ruolo consueto delle logge massoniche).

Durante il successivo incontro a Parigi, Messina Denaro ribadì al giovane architetto che gli sembrava un ragazzo promettente, che stava lavorando bene. Aggiunse che più d’una persona gli aveva detto che lui era uno di cui ci si poteva fidare, perché non era uno di quelli che miravano solo ai soldi. Disse che nella vita lui, Matteo/Niccolò, aveva avuto tutto, compresi i soldi, ma che la cosa più importante era la lealtà, era far parte di qualcosa più grande di sé stessi. Infine gli ripeté che loro, evidentemente intendendo i massoni, lavoravano a qualcosa di molto grande, e lo invitò al loro prossimo incontro. Dopo un po’ di mesi, infatti, si videro ancora una volta a Maastricht.

Tuzzolino ci confessò che all’inizio non gli era chiaro il motivo  di tutti quei viaggi all’estero. Poi comprese. che le ragioni erano due: da un lato, la maggior riservatezza garantita  dal fatto  di trovarsi  fuori  dai confini  nazionali,  e dall’altro l’occasione per rapportarsi con le altre logge che, pur operando all’estero, avevano la loro radice in Sicilia e che si occupavano di riciclare denaro tramite aziende fondate fuori dai confini nazionali,  per  evitare  ogni tipo  di controllo da parte  dei nostri  organi giudiziari.

Tra queste aziende, alcune risultavano intestate a tale Salvatore Cannatella, originario del piccolo comune agrigentino di Cianciana, e in ultimo emigrato e residente a Londra, dov’era titolare di una ditta di enormi dimensioni operante nel settore agroalimentare. Gli accertamenti condotti dalla Guardia di finanza rilevarono che proprio in un locale nascosto dell’azienda londinese era stato ospitato Matteo Messina Denaro, con il quale Cannatella aveva creato un asset imprenditoriale (non solo in Inghilterra ma anche in Spagna dove risultava essere socio in diverse società riconducibili all’uomo d’onore Giuseppe Colletti, di Burgio. Va sottolineato che i Cannatella e i Colletti, oltre che uomini  d’onore, erano anche massoni. In seguito a queste rivelazioni, provvedemmo a fare delle rogatorie sia in Spagna che in Inghilterra, ma Messina Denaro era introvabile, come se conoscesse le nostre mosse in anticipo.

I miei interrogatori con Tuzzolino non furono numerosi, molti di più furono quelli condotti da Marcello Viola, al tempo procuratore di Trapani. Viste le ulteriori disavventure giudiziarie in cui Tuzzolino era incorso, che secondo alcuni ne avevano minato la credibilità, decisi di non interrogarlo più, ma di considerarlo, per quanto già detto, come fonte di notizie da accertare per verificarne l’attendibilità. Mi interessava soprattutto sapere della superloggia La Sicilia e dei componenti della stessa, di cui mi aveva fatto i nomi fin dall’inizio del suo rapporto di collaborazione. Ed effettivamente, le notizie fornite ebbero importanti conferme; di alcune circostanze, inoltre, egli non poteva essere a conoscenza se non per averle vissute. Al contempo, intercettando le persone definite come affiliate alla loggia, contavo di trovare qualche traccia che mi portasse al boss latitante.

Il mio, lavoro doveva continuare, perché i riscontri effettuati consentivano già di perseguire alcune persone. Sapevo che  l’indagine sarebbe stata ancora molto lunga, scoprire una loggia segreta senza avere gli elenchi (evento fortunato che si era verificato per la loggia Scontrino) era un’operazione assai elaborata, che richiedeva tempi lunghi. Fui. chiamata dalla Commissione parlamentare anti­mafia per ben due volte e constatai grande interesse per il lavoro che stavo facendo. Al contrario, percepivo molto malumore intorno a me nel mio stesso ambiente di lavoro, che considerava assurdo tanto impegno sulla base delle dichiarazioni di Giuseppe Tuzzolino, un collaboratore ormai screditato. Dopo poco tempo il procuratore Lo Voi indisse una riunione che aveva per oggetto proprio Tuzzolino. Come poi seppi, aveva disposto che tutte le carte riguardanti la mas­ soneria, prima di essere consegnate a me, dovevano passare da lui. Nessuno mi aveva mai chiesto della relazione fatta alla Commissione parlamentare antimafia, ma tutti, senza avere letto una carta, assunsero un atteggiamento quasi di presa in giro per la mia ostinazione nel continuare a indagare sulla massoneria, un’attività investigativa che aveva avuto il suo input dalle dichiarazioni di un collaboratore che tutti oramai, a cominciare dal procuratore, consideravano finito.

Mi sentivo accerchiata, come se quella, più che una riunione, fosse un’imboscata. Fui oggetto di polemiche pro­ venienti dalla maggior parte dei presenti, compreso il mio gruppo di lavoro, in quanto andavo appresso a un collaboratore bugiardo e drogato. Me ne andai, esterrefatta, ma prima dissi che se il mio lavoro non era ritenuto d’interesse dal procuratore me ne sarei astenuta senza problemi. Tuttavia, com’era naturale, lui, che non voleva certo passare per quello a cui l’argomento massoneria non interessava, mi invitò a continuare. Il cerchio, però, si era ormai spezzato. Per me non era concepibile ed era estremamente deludente pensare che nessuno, nemmeno i miei colleghi-amici, trovassero una parola per me, e dicessero, ad esempio, che il procuratore di Trapani continuava a interrogate Tuzzolino (che peraltro manteneva ancora il programma provvisorio di protezione) ritenendolo attendibile.

Sul mantenimento del programma di protezione, io e Lo Voi avevamo idee molto diverse. Per quanto mi riguardava, ritenevo l’architetto attendibile alla luce di ciò che mi aveva rivelato su Matteo Messina Denaro e sulla massoneria, in relazione alla quale aveva indicato nomi di mafiosi vicini al latitante (pe esempio, quelli di Colletti e Cannatella) che non avrebbe mai potuto conoscere se non per avere vissuto davvero le situazioni accontate, e soprattutto, lo avevo utilizzato solo nella parte iniziale, quando era coperto dal programma provvisorio. Lo Voi, invece, si faceva portatore dei punti di vista espressi dalla Dda di Agrigento, facendo presente che mesi addietro aveva inviato una nota alla Commissione collaboratori di giustizia per ottenere una pronuncia sul punto.

L’inchiesta sulle protezioni massoniche dì Matteo Messina Denaro è stata archiviata nel 2017, quando già non ero più in Dda. In quel lavoro investigativo si erano già delineate posizioni che meritavano di essere prese in considerazione e sviluppate senza pregiudizi. So che negli anni a venire i verbali di Tuzzolino sono stati rivalutati anche nelle indagini su Agrigento, ma ormai ero uscita da quella situazione. Ho saputo anche che dopo l’arresto di Tuzzolino, avvenuto nel 2017 – l’anno successivo lo stesso sarebbe stato condannato per calunnia con l’accusa di essersi inventato delle minacce nei confronti di chi scrive e del procuratore Viola -, l’indagine trapanese restò in piedi, sostenuta da una serie di riscontri che avevano permesso ai pm di sganciarsi dalle sue dichiarazioni. E l’indagine sarebbe proseguita anche dopo il trasferimento del procuratore Viola, grazie al sostituto procuratore Andrea Tarondo.  La procura di Trapani, come si racconta a denti stretti dentro il Palazzo, ha chiesto di poter acquisire il fascicolo sulla massoneria archiviato dalla Dda di Palermo, ricevendo una risposta negativa. Una replica non comprensibile. L’indagine trapanese aveva tra i protagonisti alcuni dei miei stessi indagati e questo mi ha consolato molto rispetto alle aspre critiche ricevute durante la riunione di cui ho parlato.

Le indagini sulla ricerca di Matteo Messina Denaro, nonostante tutte le strade battute e con nostro grande rammarico, non hanno avuto uno sbocco positivo. Guerre tra colleghi, veleni, faide, e le sconfinate. protezioni di cui ha goduto il boss – dalla massoneria alle talpe ai politici collusi – hanno vanificato anni di lavoro e impegno di tutta una squadra.

Forse per analoghe motivazioni, nemmeno le complesse indagini sulla massoneria, nonostante gli interessanti spunti investigativi e i riscontri probatori che sono stati. evidenziati e che certamente richiedevano ulteriori sviluppi, hanno avuto miglior esito. Anzi, mi hanno negativamente esposta. Infatti, una volta andata via dalla Dda, il procedimento è stato archiviato. Durante la sua latitanza Matteo Messina Denaro aveva il potere, la forza fisica e uno stato di salute tale da districarsi da ogni trappola. E troppe volte questo potere ha avuto il volto dello Stato, cosa che ha reso ancor più difficile catturarlo. Quando, nel gennaio 2023, è stato arrestato, egli stesso ha detto che senza la sua malattia non lo avrebbero mai preso.

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