La “rinascita” di Iachino Amico: “Dentro il carcere ho incontrato Gesù”
Si è presentato in diretta su youtube con una Bibbia in mano e un linguaggio da predicatore pentito
Si è presentato in diretta su youtube con una Bibbia in mano e un linguaggio da predicatore pentito. Ma dietro la conversione di Gioacchino Amico, 39 anni, originario di Canicattì, si muove un mosaico oscuro fatto di truffe, clan e un’accusa pesante: essere tra i registi occulti di una “Super Cosa” mafiosa radicata al Nord. Per gli inquirenti della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, Gioacchino Amico – conosciuto anche come “Iachino” – non è solo un ex truffatore che oggi si dichiara redento, ma una figura chiave nel nuovo assetto criminale lombardo. Un uomo d’affari capace di legarsi alla camorra, ai vertici della ‘ndrangheta, e persino di vantare contatti con ambienti un tempo orbitanti attorno alla Banda della Magliana.
Da qualche mese Gioacchino Amico è uscito dal Carcere Pagliarelli di Palermo dove era detenuto in regime di massima sicurezza. Ma da lì, dice, essere emersa la sua nuova immagine: uomo convertito, guida spirituale per altri detenuti, ospite di dirette online in cui racconta l’incontro con Cristo e le lotte contro il male interiore.
Un’immagine che cozza con quella delineata dai magistrati milanesi, che lo vedono al vertice di un sistema mafioso trasversale: camorra, mafia e ‘ndrangheta che si alleano per spartirsi il controllo del Nord.
In un’intensa diretta trasmessa su Parole di Vita, un canale cristiano che ogni giorno dà voce a storie di fede e rinascita, abbiamo assistito all’ultima testimonianza pubblica di “Jachino” Amico.
“Dal 25 ottobre sono fuori dal carcere,” ha esordito “ma la vera liberazione è iniziata ben prima. Dentro quelle mura, in uno dei reparti più duri, ho incontrato Gesù.”
L’incontro non è avvenuto attraverso un evento spettacolare o una voce dal cielo, ma tramite Salvatore Longo, un altro detenuto, già credente, che lo ha avrebbe avvicinato alla Bibbia. “Ogni giorno leggevamo insieme. Pregavamo. Meditavamo. Non andavamo lì per giocare a carte, come tanti, ma per nutrirci della Parola di Dio.” È in quella quotidianità apparentemente invisibile che qualcosa di profondo sembrerebbe essersi mosso nel cuore di Gioacchino Amico. “Un giorno ho cominciato a piangere. Non era un pianto normale, erano lacrime di purificazione. Ho capito che Gesù mi stava lavando.”
Amico non entra mai nei dettagli dei reati per cui è stato arrestato. “Non sono qui a difendermi. Gli addebiti erano pesanti, ma la potenza di Dio è più grande. Ero in cella, ma sentivo una libertà che non avevo mai provato fuori. Avevo pace. Avevo luce. Gesù era con me.”
In uno dei momenti del suo racconto, Gioacchino condivide un’esperienza notturna: “Ho visto Satana accanto al mio letto, mi digrignava i denti ma non poteva toccarmi. C’era la luce di Cristo su di me. Ero protetto. La Bibbia non è un libro. È la Parola vivente di Dio. All’inizio non la capivo, mi sembrava pesante. Poi ho iniziato a viverla. E Dio ha cominciato a parlarmi, a rispondermi, a rivelarmi cose.”
Gioacchino racconta anche un episodio legato a una visione avuta in sogno: “A febbraio ho sognato di uscire dal carcere, di abbracciare mia moglie fuori dal cancello. Il 25 ottobre è accaduto davvero. Era Dio che mi mostrava in anticipo il suo piano.” ha concluso nella lunga intervista.
Chi è davvero l’uomo che in carcere recita versetti e fuori organizzava cene con boss e criminali di tre mafie diverse? La risposta non sta solo nei codici penali. Sta nella capacità o nel fallimento di una società di distinguere la redenzione dal travestimento. Perché, quando l’anticamera del pulpito è un’aula di tribunale, anche la fede può diventare parte della messa in scena.
Eppure il suo curriculum giudiziario parte da più lontano. Nel 2010 è coinvolto nell’inchiesta “Cash” per frodi bancarie e accesso indebito a finanziamenti. Scontata la pena, riappare nel 2016 come candidato al consiglio comunale di Canicattì nella lista “Fare” con l’allora Sindaco di Verona Flavio Tosi. Siede accanto a nomi di riferimento della politica dell’entroterra agrigentino, tra ambizioni civiche e comitati elettorali inaugurati in pompa magna che si concretizzano in un apparente nulla di fatto, poi, nella tornata elettorale della città dell’uva Italia. Poi, il salto di qualità che lo consacra come una sorta di anello di congiunzione tra le varie consorterie mafiose di tutto il Paese.
Il primo grande sospetto nasce nel 2020. Gaetano Cantarella, detto “Tano u curtu”, sparisce nel nulla dopo un incontro proprio con Amico a Canicattì. Secondo la DDA, Amico avrebbe “gestito” la sua eliminazione con il metodo della lupara bianca. Il gip però archivia: “una mera speculazione priva del sia pur minimo appiglio indiziario” Ma l’ombra rimane.
La svolta investigativa arriva grazie a intercettazioni ambientali raccolte negli anni successivi. In una di queste, Amico discute con fierezza degli invitati al proprio matrimonio: tra loro presunti esponenti delle famiglie di San Luca, uomini legati al clan Senese, persino il nipote del cassiere della banda della Magliana. Un’apparente ostentazione di potere, una prova — secondo gli inquirenti — del suo ruolo centrale nella riorganizzazione mafiosa milanese.
Nel 2023, il gip di Milano respinge gran parte delle richieste di misura cautelare. Sulle 153 posizioni ipotizzate dalla Procura, ne convalida solo 11. Tra queste, quella di Amico, ma soltanto per traffico di droga. Mafia? “Una costruzione teorica”, scrive il giudice.
Ma la procura fa ricorso. Il Riesame ribalta la decisione: riconosce l’esistenza di una struttura mafiosa, e conferma i provvedimenti anche per Amico. La Cassazione chiude il cerchio: tutto legittimo, il processo può partire.