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Maxi operazione antidroga a Roma: un canicattinese tra i 44 indagati

C'è anche un canicattinese tra gli indagati nella maxi inchiesta antidroga a Roma

Pubblicato 4 anni fa

Una vedetta agrigentina che assicurava la copertura ai pusher che spacciavano droga nel popoloso quartiere romano di Ponte di Nona. E’ questa l’accusa mossa nei confronti di Alessandro Ragaccio, 29enne originario di San Cataldo ma residente a Canicattì, il cui nome compare tra i quarantaquattro indagati dell’inchiesta antidroga eseguita dai Carabinieri della Compagnia di Tivoli e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Capitale e conclusa oggi con  22 destinatari di misure cautelari. Tra questi c’è appunto Ragaccio al quale è stato notificato la misura dell’obbligo di dimora. 

I Carabinieri hanno accertato l’esistenza di una associazione criminale composta da quattro livelli, organizzati in maniera piramidale. I due capi e promotori, giovanissimi ma con un curriculum criminale di tutto rispetto, avevano creato sistema in cui tutti avevano un loro ruolo, come un grande ipermercato. L’indagine, nata nel 2018 e coordinata dalla Procura Distrettuale Antimafia di Roma, ha consentito di arrestare durante la fase investigativa 19 persone in flagranza di reato, denunciarne 3 a piede libero e segnalare come assuntori 34 individui, nonche’ di recuperare e sequestrare quasi 35 chili tra hashish, cocaina e crac. Il supermarket della droga, in base a quanto accertato dai carabinieri della Compagnia di Tivoli coordinati dalla Dda di Roma, operava 24 ore su 24 con profitti che arrivavano a circa 100 mila euro al mese. 

Nell’organizzazione nulla era lasciato al caso: c’era chi si occupava del rifornimento dello stupefacente da Tor Bella Monaca, chi forniva l’alloggio per il confezionamento delle dosi, chi le smerciava con veri e propri turni. Il gruppo criminale aveva messo su anche un servizio di catering, una sorta di mensa, che veniva fornito agli “impiegati” della piazza di spaccio, comprese anche le vedette che si occupavano della sicurezza dell’area. A capo dell’organizzazione Christian Ventre, 29 anni, che seppure in regime di detenzione nel carcere di Rebibbia riusciva a gestire l’attivita’ illegale utilizzando anche un telefono cellulare fatto arrivare illecitamente all’interno del penitenziario.

Non poche sono state le difficoltà riscontrate dai Carabinieri durante i due anni di indagine. La conformazione urbanistica concedeva, infatti, il vantaggio territoriale agli odierni arrestati che, grazie al sistema di vedette e controlli, avevano creato un vero e proprio fortino quasi inespugnabile. Oltre al “fattore campo”, ulteriore difficoltà è stata riscontrata nella disponibilità di armi da parte del sodalizio criminale. Le telecamere installate dai Carabinieri hanno più volte ripreso i vertici dell’organizzazione criminale passeggiare nella piazza di spaccio visibilmente armati, chiaro segno di “marcatura del territorio” e dimostrazione della potenza di fuoco dell’associazione a delinquere.

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