Giudiziaria

Rileva gioielleria e lo zio pretende metà dell’incasso, prosciolta intera famiglia 

Il reato di estorsione è stato riqualificato in esercizio arbitrario delle proprie ragioni ma i fatti risalgono al 2016 e quindi il reato è prescritto: prosciolti in sette

Pubblicato 4 giorni fa

Non vi fu alcuna estorsione ma solo esercizio arbitrario delle proprie ragioni. I fatti risalgono al marzo del 2016 e, per questo motivo, il reato è stato dichiarato estinto per intervenuta prescrizione. Lo ha stabilito la quarta sezione della Corte di appello di Palermo, presieduta dal giudice Vittorio Anania, in accoglimento del ricorso avanzato dagli avvocati Giovanni Castronovo e Maria Simona La Verde. 

Ribaltata la decisione adottata l’8 novembre del 2021 dalla quinta sezione del Tribunale di Palermo in composizione collegiale, che aveva inflitto severe condanne (che andavano da 7 anni e 6 mesi a 4 anni 11 mesi e giorni 10) ai 7 imputati, tutti palermitani che sono:Girolamo Carlino,Gianluca Carlino,Viviana Abbruzzese, Antonio Abbruzzese, Giuseppa Pizzo,Giovanni Carlino e Fabio Federico. Secondo la ricostruzione accusatoria, recepita dal Tribunale, la persona offesa Nicolò Carlino, nipote di Girolamo Carlino, rilevò la gioielleria “Laura Preziosi”, presso la quale lavorava lo zio, costituendo con lo stesso una società di fatto, assumendolo al contempo anche con la qualifica di orafo. 

Dopo alcuni mesi, però, nacquero dei contrasti tra i due, in quanto Girolamo Carlino, oltre allo stipendio mensile, richiese al nipote parte degli ultimi a lui spettanti in virtù del rapporto societario di fatto instaurato. E poiché Nicolò Carlino ebbe a negare al socio l’esistenza di qualsivoglia tipo di società, dopo alcuni tentativi di bonaria composizione della vicenda mediante l’intervento di alcuni familiari, il 30 novembre 2016 i 7 imputati si recarono presso la gioielleria, chiedendo in modo insistente e violento il pagamento di ciò che spettava a Girolamo Carlino. Alla fine Nicolò Carlino chiuse la vicenda corrispondendo al proprio familiare la somma di 2000€,a tacitazione di ogni ulteriore pretesa, denunciando però dopo ben due mesi tutti i protagonisti dei fatti per cui è processo per estorsione. 

Secondo il giudici di primo grado si trattò di una spedizione punitiva, volta ad ottenere con la minaccia il pagamento di una somma di denaro non dovuta. Tuttavia la Corte di Appello, condividendo la tesi difensiva prospettata dagli avvocati Castronovo e La Verde,ha ritenuto che vi fu minaccia, e che Girolamo Carlino, unitamente agli altri sei familiari presenti tentò di farsi giustizia da sé (da qui la riqualificazione dei fatti nell’ipotesi meno lieve di esercizio arbitrario delle proprie ragioni),ma che non sussiste il reato di estorsione, essendo stata riconosciuta la legittimità del credito vantato in virtù di una società di fatto esistente tra i Carlino, circostanza ampiamente dimostrata dall’istruttoria dibattimentale.

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