“Il giudice visionario”, 45 anni fa la mafia uccideva Cesare Terranova
Era il 25 settembre del 1979 quando il giudice Terranova e il maresciallo Mancuso furono uccisi in un agguato mafioso
Un giudice visionario e moderno, instancabile e preparato nella lotta alla mafia e al contempo capace di guardare alla necessita’ di fare crescere e liberare un territorio e i suoi abitanti piu’ fragili. Era il 25 settembre del 1979, verso le 8,30 del mattino, quando una Fiat 131 arriva sotto casa del giudice Cesare Terranova a Palermo per condurlo in ufficio. Il magistrato si pone alla guida della vettura; accanto a lui siede il maresciallo di Pubblica sicurezza Lenin Mancuso, al quale e’ stata affidata la sua protezione. L’auto imbocca una strada secondaria che trova inaspettatamente chiusa per “lavori in corso”. A quel punto, alcuni killer affiancano l’auto e aprono il fuoco con una carabina Winchester e con delle pistole. Il magistrato ingrana la retromarcia nel tentativo di sottrarsi ai proiettili; il maresciallo Mancuso impugna la Beretta di ordinanza. Viene esplosa una trentina i colpi. Il giudice muore sul colpo, Mancuso poche ore dopo in ospedale. Accadeva 45 anni fa.
Secondo l’amico e scrittore Leonardo Sciascia, Cesare Terranova fu ucciso perche’ “stava occupandosi di qualcosa per cui qualcuno ha sentito incombente o immediato il pericolo”. Le prime importanti dichiarazioni sul duplice delitto di Palermo risalgono al 1984, ricorda l’Anm. A Giovanni Falcone, Tommaso Buscetta racconta che Terranova e’ stato ucciso su mandato di Liggio. Nel 1996, un altro collaboratore di giustizia conferma che Terranova era divenuto un obiettivo per Liggio e i corleonesi fin dal 1975. Liggio dal carcere ne aveva chiesto l’omicidio sia per vendicarsi della sentenza della condanna all’ergastolo subita sia perche’ Terranova si mostrava – quale componente della Commissione parlamentare antimafia – troppo determinato nel contrasto della criminalita’ organizzata. Secondo investigatori e giudici, quello di Terranova fu anche un “omicidio preventivo”. Fu ucciso per stroncare la sua carriera e impedirgli di divenire Capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo: Ufficio dal quale avrebbe “perseguito con forza la strategia di recidere le trarne tra mafia e politica, obiettivo che contraddistinse sempre il suo operato, sia da magistrato che da politico”. Nato a Palermo nell’agosto del 1921, Cesare Terranova entra in magistratura nel 1946 appena tornato dalla guerra e dalla prigionia. E’ Pretore a Messina e poi a Rometta. Nel 1958 si trasferisce dal Tribunale di Patti a quello di Palermo, qui avviando i celebri processi di mafia contro Liggio e altri boss mafiosi. Giunge poi a Marsala, dove – quale procuratore della Repubblica – svolge numerose e difficili indagini. Eletto deputato, diviene componente della Commissione parlamentare antimafia e qui si distingue per impegno, intuito e professionalita’, ponendo al servizio delle piu’ alte istituzioni la esperienza accumulata nel corso della carriera di magistrato.
Proprio in questi anni alcune sentenze di condanna di pericolosi appartenenti all’organizzazione mafiosa vengono annullate. Molti mafiosi tornano liberi e alzano il livello di scontro contro lo Stato. Terminato nel 1979 il mandato parlamentare, Terranova decide di tornare “a Palermo per terminare il lavoro cominciato”. Il 10 luglio, il Consiglio superiore lo nomina Consigliere della Corte di Appello. Tutti sanno che e’ una scelta “transitoria”. Quando si presenta al lavoro, molti danno per scontato che gli sara’ attribuita la direzione dell’Ufficio Istruzione. Prestigio, anzianita’ e competenza sono dalla sua parte. Ma la mafia non gli dara’ il tempo di ricoprire il nuovo incarico. Durante la sua attivita’ di giudice istruttore a Palermo, Terranova, sottolinea l’Associazione nazionale magistrati, “seppe cogliere le metamorfosi che la mafia stava subendo nel suo divenire da agricola a imprenditrice, conquistando privilegi, commesse e licenze edilizie”.
Nei suoi scritti, il magistrato pone spesso l’accento sulla necessita’ di “leggi adeguate, polizia efficiente, giudici sereni” quali strumenti indispensabili nella lotta contro le mafie. Per Terranova non dovevano esistere “santuari inviolabili”: “La mafia non e’ un concetto astratto, non e’ uno stato d’animo, ma e’ criminalita’ organizzata, efficiente e pericolosa, articolata in gruppi o famiglie e non c’e’ una mafia buona o cattiva perche’ la mafia e’ una sola ed e’ associazione per delinquere”. E, tuttavia, e’ cosa diversa dalla comune delinquenza: e’, per dirla come Leonardo Sciascia, un’associazione segreta che si pone come intermediazione parassitaria fra la proprieta’ e il lavoro, tra la produzione e il consumo, tra il cittadino e lo Stato, con fini di arricchimento per i propri associati”. Nel commemorarlo, il Capo dello Stato, Sandro Pertini, Io ricorda cosi’: “Cesare Terranova fu uomo di alto sentire e di grande cultura: amava profondamente la sua Sicilia e viveva con angoscia la fase di trapasso che l’isola attraversava, dall’economia del feudo e rurale all’economia industriale e collegata con le grandi correnti di traffico europeo e mediterraneo. Ma egli era anche animato, oltre che da un virile coraggio, da infinita speranza, che scaturiva dalla sua profonda bonta’ d’animo: speranza nel futuro dell’Italia e della Sicilia migliori, per le quali il sacrificio della sua vita, fervida, integra ed operosa non e’ stato vano. Ancora una volta cosi’ la violenza omicida della delinquenza organizzata ha colpito uno degli uomini migliori, uno dei figli piu’ degni della terra di Sicilia”. E, nella sua “lettera-testamento” alla moglie Giovanna datata 1 marzo 1978, l’uomo” Cesare Terranova scrive: “Ad onore dei miei genitori voglio ricordare che i principi che mi hanno guidato in tutta la vita sono frutto della educazione da loro ricevuta e che, se in qualche misura sono riuscito ad operare bene da uomo e da cittadino, cio’ lo devo soprattutto agli insegnamenti e agli esempi costanti di mio padre e di mia madre, ai quali va la mia infinita gratitudine”.