Mafia, il paracco di Palma di Montechiaro: chieste 9 condanne
Il processo scaturisce dall'inchiesta Oro Bianco sul paracco di Palma di Montechiaro
Il sostituto procuratore generale Emanuele Ravaglioli ha avanzato nove richieste di condanne nell’ambito del processo di appello scaturito dall’operazione “Oro Bianco”, l’inchiesta che fa fatto luce sul paracco di Palma di Montechiaro, una cosca mafiosa indipendente da Cosa Nostra e Stidda guidata da Rosario Pace. L’accusa, dunque, chiede la conferma della sentenza di primo grado quando il gup di Palermo dispose dieci condanne e otto assoluzioni. Esce di scena dal processo Salvatore Montalto, l’ex consigliere comunale condannato a 12 anni di reclusione in primo grado, deceduto cinque mesi fa nel carcere di Cagliari. Il processo è in corso davanti i giudici della quarta sezione della Corte di Appello di Palermo presieduta da Vittorio Anania.
La procura generale chiede dunque la conferma del verdetto di primo grado e, in particolare: 16 anni di reclusione a Rosario Pace; Emanuele Pace (10 anni); Sarino Lauricella (12 anni); Francesco Bonsignore (5 anni e 8 mesi); Domenico Manganello (18 anni e 8 mesi); Gioacchino Rosario Barragato (12 anni); Giuseppe Blando (11 anni e 8 mesi); Giuseppe Morgana (10 anni e 8 mesi); Gioacchino Pace (16 anni e 8 mesi ma escluso il reato di mafia). Le assoluzioni erano state otto: Calogero Lumia, Salvatore Troia, Salvatore Carusotto, Rocco Novella, Carmelo Pace, Giuseppe Pace, Gioacchino Angelo Mangiavillano e Federico Gallea. Nel collegio difensivo gli avvocati Santo Lucia, Francesco Scopelliti, Antonino Gaziano, Vito Cangemi, Salvatore Pennica, Giovanni Castronovo, Giuseppe Vinciguerra, Maria Alba Nicotra, Giovanni Rizzuti, Domenico Ingrao e Rosalia Palumbo Piccionello. Si torna in aula il 13 luglio per le arringhe dei difensori.
L’inchiesta, coordinata dai magistrati della Dda di Palermo Claudio Camilleri, Pierangelo Padova e Gianluca De Leo, si concentra sul paracco di Palma di Montechiaro che sarebbe stato in grado di gestire un fiorente traffico di stupefacenti, di infiltrare un capodecina all’interno del consiglio comunale e di aver tentato di mettere le mani sull’appalto del contratto di quartiere dal valore di due milioni di euro. L’indagine muove i primi passi nel palermitano ma ben presto si sviluppano i collegamenti con la provincia di Agrigento.Collegamenti che sono stati tracciati anche dal collaboratore di giustizia Giuseppe Quaranta. Dalla figura di Salvatore Troia, uomo d’onore di Villabate, si è giunti a Favara dove era in contatto con Giuseppe Blando. Blando è il fratello del più noto Domenico, favoreggiatore della latitanza di Giovanni Brusca a Cannatello.
L’accusa per gli indagati è di essersi avvalsi della forza di intimidazione del vincolo associativo e delle condizioni di assoggettamento ed omertà che ne derivano per commettere gravi delitti, acquisire la gestione o il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici e procurare voti eleggendo propri rappresentanti in occasione delle consultazioni elettorali.