Ragazzina violentata ad Aragona, il durissimo giudizio dei giudici: “Omertà dei testimoni”
Il tribunale ha espresso un giudizio durissimo su amiche e conoscenti della vittima che in aula hanno negato tutto. Decisive le cimici nell’auto della madre di una di loro
Una vicenda di per sé umanamente drammatica considerando il tema: una violenza sessuale di gruppo ai danni di una ragazzina all’epoca dei fatti undicenne. Ma il fatto diventa ancora più tragico nel leggere le motivazioni della sentenza con la quale il tribunale ha condannato tre giostrai a 12 anni di reclusione. Perchè il giudizio dei giudici della prima sezione penale, presieduta da Alfonso Malato, è durissimo non soltanto sugli imputati ma soprattutto su amiche e conoscenti della vittima chiamate a testimoniare in aula. Si tratta di amiche, conoscenti e addirittura la mamma di una di loro. Per tutte il tribunale ha trasmesso gli atti in procura per valutarne la posizione. La vicenda è legata a quanto accaduto il 13 maggio 2015 ad Aragona durante la festa del Madonna di Fatima. Una ragazzina, all’epoca dei fatti undicenne, viene trascinata in un vicolo da un gruppo di giostrai e violentata. Soltanto un anno dopo, tra difficoltà e ansie, la madre si presenta dalle forze dell’ordine e denuncia. Tre imputati sono stati condannati a 12 anni di carcere (Riccardo Fonte, 66 anni, di Caltanissetta; Bogdan Petru Corcoz, 28 anni; Vasile Lucian Isache, 31 anni) mentre un quarto (Cosmin Babiuc Pavel, 31 anni) ha fatto perdere le sue tracce e si è reso irreperibile.
Il giudizio del tribunale sui testimoni, come detto, è durissimo: “Il presente processo è stato contornato da una serie di elementi peculiari che hanno resto particolarmente difficoltosa la puntuale ricostruzione storica della dinamica dei fatti, anche restituendo l’atmosfera di un’aleggiante, cupa, opprimente e asfittica nube di omertà dei testimoni citati – del tutto indifferenti, invero, a rendere edotto il tribunale dei fatti conosciuti (fatti di elevatissima gravità e tradottisi in un brutale assalto sessuale sul corpo e sulla libertà di una undicenne) – unicamente preoccupati di rimanere indenni da qualsivoglia coinvolgimento, anche solo conoscitivo, nella vicenda storica posta a substrato.”
Il tribunale rimarca la reticenza posta in essere da una compagna di classe, da alcune conoscenti e addirittura dalla mamma di un’amica della persona offesa chiamati tutti a testimoniare: “Il mendacio è stato disvelato grazie al contenuto delle intercettazioni – per mezzo di perizia trascritta – la cui assenza avrebbe impedito un corretto accertamento dei fatti storici posti a substrato dell’imputazione.” E ancora in un altro passaggio sui testimoni: “Restituiscono l’immagine della più elevata forma di insofferenza al dovere incombente su ogni cittadino di rendere una deposizione secondo verità. Completamente impermeabili e indifferenti alla tragicità della vicenda umana in esami, tali testi si sono stolidamente e ottusamente trincerati dietro il manto di un atteggiamento pervicacemente negatoria.”
Per i giudici, quello che avviene in aula durante la testimonianza delle conoscenti della vittima, è davvero peculiare: un’amica nega di aver assistito alla scena, contrariamente a quanto aveva dichiarato alla polizia giudiziaria in fase di indagini preliminari, ribadendo di non conoscere la persona offesa ma di essere soltanto una compagna di classe; un’altra ha negato in aula di conoscere la vittima e di non averci mai parlato. Ma il caso emblematico – sottolinea il tribunale – è però quello della madre di un’amica della vittima. La donna, che era andata a prendere le ragazzine dopo il fattaccio, ha sempre negato di essere a conoscenza di quanto accaduto. La svolta avviene però con le intercettazioni. La polizia giudiziaria installa delle cimici nell’auto della signora e capta un dialogo tra madre e figlia (amica della vittima) l’1 febbraio 2017: “Perchè avete chiamato me? Perchè l’hai frequentata? Fai memoria delle cose perchè noi non dobbiamo essere messe in mezzo alle cose [..] dimmi tutto.. ora mi devi raccontare tutto..” La risposta della figlia è inequivocabile: “Ho visto tutto. Io ho visto soltanto che l’hanno presa..” Tali intercettazioni rappresentano – per il tribunale – l’involontaria “rottura” del patto segreto volto a far calare una cortina di omertà e silenzio sui fatti. Scrivono i giudici: “Inconsapevole di venire ascoltata dagli inquirenti, in un ambiente protetto e familiare la ragazza confessa la verità alla madre: indica il luogo della violenza sessuale e le fornisce i loro nomi: Bogdan, Luciano, Riccardo, Babiuc.”
Infine il tribunale ha valutato positivamente l’attendibilità della vittima sebbene la stessa avesse rimosso i ricordi in un primo periodo e non riconosciuto i suoi aggressori in alcuni album fotografici. La consulente nominata dal tribunale, che ha avuto modo di sentire la ragazzina per ben quattro volte, è arrivata alla conclusione che “i racconti della minore sono assolutamente attendibili da un punto di vista clinico”. Tesi confermata anche da un neuropsichiatra che ha avuto in cura la minore subito dopo aver subito la violenza: “Le crisi rappresentano una dorma di involontaria tutela della mente della rivisitazione di un pregresso e significativo trauma”.